La figura di Domenico Morici, l’uomo e parlamentare rossanese
Questa è la seconda parte della biografia scritta dal professore Carlino. Scopriamo assieme la storia del deputato di Rossano condannato all’ergastolo per il suo attivismo liberale
Data la sua indubbia esperienza sulle problematiche politico-militari, D. Morici fu membro della Commissione parlamentare sulla Guerra, Marina e Affari Esteri, lasciandosi apprezzare per la sua assiduità negli interventi che risultarono, ogni volta provvidenziali ed efficaci per risolvere spesso situazioni di forte criticità, tanto da essere oggetto di attenzione da parte della stampa parlamentare e spesso citato nel Diario del Parlamento Nazionale a cura di Carlo Colletta.
Il deputato rossanese non perse mai occasione in Parlamento di denunciare con lucidità quanto la grave povertà sociale potesse essere dannosa per il nuovo regime. Al riguardo, basti ricordare quanto il Morici alla conclusione di un suo appassionato intervento in Parlamento affermava: «[…] Signori! Troppo finora si è dato alle proprietà e alle ricchezze. Se si facesse più onore alla povertà virtuosa, si vedrebbero sorgere dei talenti straordinari, che oggi restano oscuri e vilipesi» 5.
Come ripercussione alle palesi avvisaglie di azioni esterne, sostenute anzitutto da re Ferdinando, secondo cui la Costituzione era stata imposta in maniera sleale, il 13 febbraio 1821, Morici avanzò, senza tuttavia produrre effetto, la richiesta di essere sollevato dal mandato parlamentare di deputato per indossare nuovamente la divisa militare di ufficiale e così continuando a dare il proprio contributo ai lavori parlamentari, il 13 marzo 1821, alle segnalazioni delle prime sconfitte ricevute dalle fragili truppe napoletane, compilò, congiuntamente ad altri quattro deputati, un appassionato appello mediante il quale chiamava la popolazione a contrastare fino all’estremo l’esercito austriaco. Su tale aspetto, secondo quanto riportato ancora dal Gradilone, nella nota (7) ne dava notizia anche il Giornale Costituzionale 6.
La grande considerazione che il Parlamento aveva per il deputato rossanese D. Morici emerge anche dagli scritti di Luigi Ripoli che in un suo breve brano così scriveva: «Il Morici fu pure membro del Tribunale o Corte Suprema del Parlamento […] Prese parte nell’adunanza delle Commissioni riunite di esame e tutela della Costituzione, e di guerra, marina ed affari esteri, […]»7.
Alla disfatta dell’esercito napoletano, sollevate le rappresentanze parlamentari, il 23 marzo dello stesso anno, prima di ritornare nella sua Rossano, dove si sarebbe adoperato da subito per incoraggiare un ultimo tentativo insurrezionale, purtroppo senza esito favorevole, il Morici, insieme a un consistente numero di parlamentari concesse il proprio supporto a una interpellanza di Giuseppe Poerio, con la quale si riconfermarono ufficialmente la regolarità degli organismi parlamentari e il ritorno alle libertà costituzionali.
Rigorosamente tenuto sotto controllo dalle forze di pubblica sicurezza, fino al 1831 si trattenne a Rossano, per poi fare ritorno a Napoli dove il suo spirito irrequieto, liberale e indipendentista gli fece riprendere collegamenti con alcune forze rivoluzionarie della città che auspicavano il ritorno ai precedenti valori costituzionali già affermati con la nascita del Parlamento del 1820.
Un comitato insurrezionale, secondo quanto ci riferiscono gli storici, al quale aderivano insieme al Morici e al frate Angelo Peluso, un laico francescano, anche Vito Porcaro, Gennaro Lopez, Francesco Vitale e l’ufficiale Filippo Agresti. Un movimento d’ispirazione carbonara che portò il Morici a entrare nella congiura dell’agosto 1832, con la missione di creare un’insurrezione popolare accompagnata da un considerevole numero di militari che avrebbero dovuto abbandonare l’esercito.
Su quanto accadde nell’agosto del 1832, interessante è la descrizione che G. Badolisani fa nella sua monografia dei punti di maggiore interesse riguardanti l’ordine dei fatti, le considerazioni sugli esposti fatti, l’idea legale dei fatti, la cospirazione, l’attentato e la particolare difesa di taluni imputati, che portarono al processo e alla condanna D. Morici 8.
Tutte azioni che lo resero prigioniero nel carcere di S. Maria di Capua. Prima del processo, però, secondo quanto trascritto nel rapporto redatto dal Capitano Commissario ff. da Relatore, Carmine Morello e riportato dal Ripoli, Morici in carcere ricevette la visita di S.E. il Ministro del Carretto alla presenza di alcuni familiari.
Al riguardo ecco un breve passaggio dell’interrogatorio subito da Morici, da parte del Ministro, circa il coinvolgimento nella cospirazione restituito a noi dal Ripoli che così scriveva: «[…] – Ebbene, Capitano, siete contento di trovarvi in mezzo alla vostra famiglia?
– V.E. può immaginarlo!
– Non ne dubitavo. Ma spero che la loro vista – indicandogli i figli – vi faccia fare giudizio.
– Eccellenza, non vi comprendo, disse Morici.
– Eh…non mi comprendete. V’ho assicurato sempre sul mio onore che Sua Maestà rifugge dalle misure severe; che egli ambisce di regnare amato dal suo popolo, ma che vuole anche vivere sicuro. Comprenderete che ciò sia giusto! Ora la sicurezza dipende dalla sicura conoscenza della estensione della cospirazione, nella quale siete immischiato. Le vergognose accuse reciproche, che gl’imputati si sono fatte, non dicono nulla, né si può fare assegnamento sulla loro serietà. Voi lo sapete: una sola persona d’onore potrebbe sulla sua parola far conoscere le cose come stanno; dare a Sua Maestà la sicurezza; mitigare la sorte dei suoi compagni e rendere il marito a giovine donna ed il padre ad otto innocenti figli di tenera età, che hanno bisogno della sua guida e del suo appoggio.
Domenico Morici ascoltava immobile e silenzioso, poi chiese:
– Chi sarebbe costui?
– O capitano, non vorrete canzonarmi…
– Me ne guarderei bene, Eccellenza! Ho fatto tale domanda, perché non è possibile che V.E. che mi conosce, volesse alludere alla mia persona.
– So che siete un testardo – riprese il ministro alquanto irato – ma avevo sperato che vi commovesse la sorte dei vostri figli, dei quali dovreste preoccuparvi.
A questo punto il Morici, che aveva tenuto un contegno rassegnato, dopo un momento di riflessione a capo chino, lo rialzò e guardando il ministro osservò: – Eccellenza, se i miei figli saranno degni di me saranno fieri della loro sventura e del mio contegno che serba loro un nome onorato; se invece non lo saranno, io non ho il dovere di preoccuparmi di loro. Del resto nulla ho da aggiungere a quanto sinora ho detto.
– Dunque? Chiese concludendo il ministro. A che il Morici non rispose altro e s’inchinava mentre quello usciva dicendo: che Iddio v’ispiri! E allontanavasi mormorando: «mio Dio che uomo, che uomo!» 9.
Le conclusioni del pubblico ministero, invece, nella causa come coimputato accusato di reati contro la sicurezza dello Stato, si possono leggere nell’apposita monografia pubblicata da’ i Tipi dell’Intendenza, dalla quale ho voluto estrarre integralmente il seguente brano: «Domenico Morici. Gli eccessi degli uomini da poco o niun conto, producano una certa tal non curanza o disprezzo provveniente dalla persuasione di non potersene attendere di meglio; ma quelli di coloro da quali si è nel dritto di sperare il bene, prendono un carattere di maggior gravezza ed intensità.
Per essere capitano di un corpo facoltativo, io parlo a militari, fa duopo avere de requisiti non pochi di talenti e di sode cognizioni, ed è a supporsi che l’accusato Morici ne fosse stato fornito se ottenne un tal grado.
Riordinati gli affari del Regno dopo le fasi del 1820, nelle quali egli prese una parte attiva, le circostanze di sua famiglia divennero imperiose e ciò nel di lui caso invece di servirgli di un utile lezione per rassegnarsi e fiduciare nel tempo, ne’ suoi talenti, e più di tutto nella inesauribile clemenza del Re, ei si abbandonò inconsideratamente alla ricerca di risorse da disperato.
Questa risoluzione non ammette scusa ed egli medesimo non ha saputo poi nel suo costituto meglio additar la causa de’ suoi trascorsi che col crederli quasi l’opera di un fatale destino. Come ho io cercato con ogni premura di rinvenire nella voluminosa processura di questa causa degli elementi per giudicarlo innocente, e con quanto piacere avrei desistito dal mio severo uffizio per lui; ma egli e reo de’ misfatti di cospirazione e di attentato contro lo Stato, ed io son costretto a dimandarne la punizione.
Il concorde detto de’ correi, le sue stesse confessioni nell’interrogatorio presso gl’inquisitori, e nel costituto alla presenza vostra ve lo additano unito a Vitale, a Gaeta, a Frat’Angelo, ed a Vito Porcaro intento a stabilire i mezzi per ottenere una rivolta, della quale accettò l’offerta di mettersi alla direzione senza farsi lungamente premurare. Fu indi a poco così sicuro delle di costoro accertanze e degli altri congiurati sulla riunione della gente armata, sulla cooperazione delle rimanenti provincie e dell’Estero, che ritenendo come oltre il bisognevole queste risorse si accinse all’ opera conferendosi sul teatro delle sue operazioni, ove lo avevano preceduto le sue carte, ed i suoi libri sulle fortificazioni, credute le sole cose che potessero occorrere essendo tutt’altro approntato.
Il suo impegno perché non si cangiasse di opinione, le insistenze a partire, la parte presa nella redazione del proclama, e le doglianze allorché si vide ingannato, tutto contribuisce a dichiararlo colpevole del reati addebitatigli nell’accusa.
Morici ha compreso tutto l’orrore del suo mancamento; ma un tardo pentire giunge sempre inopportuno, né la scure della giustizia si ritrae per simili reati dal colpirne gli autori. Vitale, Peluso, Gaeta, Porcaro padre e figlio, Canisio, Lombardi, Landolfi e Pisani, colle precisazioni date sulla parte da Morici presa né concerti sediziosi, e nell’attentato, esauriscono tutte le possibili richieste del magistrato porgendo le più lampanti pruove de fatti che lo collocano nel rango del principali cospiratori, e la denotano tra i più arditi di essi per lo conseguimento di una rivoluzione. Non divergenza, non varietà, non disaccordo, tra i detti di tutti costoro; che anzi arrestati in diverse epoche, dalle confessioni de’ medesimi sono rimasti assodati unisonamente a carico di Morici le circostanze gravissime di reità pocanzi solamente accennatevi, e confermate dai detti benanco di non pochi testimoni intesi dal funzionario di polizia di Ariano sopra tutto in rapporto al di lui movimento per quella volta, onde regolare con Agresti, ed i Porcaro le operazioni de rivoltosi. L’esame di questi atti merita la vostra più scrupolosa ponderazione, poiché voi ne ritrarrete elementi importantissimi pel giudizio che sul conto di questo accusato dovrete pronunziare»10.
Il 9 settembre 1833 il Morici subì la condanna all’ergastolo, pena poi sostituita in trent’anni di lavori forzati: sanzione che influì molto sul suo stato di salute, per cui ricoverato nell’ospedale del carcere di S. Francesco di Napoli per un attacco di emottisi, e più tardi colto da apoplessia, morì a Napoli nel 1840.
BIBLIOGRAFIA
5 D. Morici, in Atti del Parlamento, II, 1926.
6 A. Gradilone, Storia di Rossano. [7) Il «Giornale Costituzionale» del 14 febbraio così ne riportava la notizia: «Con una mozione piena di bello entusiasmo (il deputato Morici) chiede di potersi allontanare dal banco dei deputati per andare alle frontiere e militare come semplice soldato tra i volteggiatori (Osserveremo che l’on. deputato è uno dei rispettabili capitani del corpo del genio)»].
7 L. Ripoli, Rossano Pel Riscatto Nazionale, Parte Prima 1794-1840, Tipografia Editrice G. Rizzo, Rossano, 1907, Ristampa Guido Editore, Rossano, 1989.
8 Cfr. G. Badolisani, Difesa del Signor Domenico Morici e di altri accusati di Maestà, Pe’ tipi della Minerva, Napoli, 1833.
9 L. Ripoli, Rossano Pel….
10 Cfr. Conclusioni del Pubblico Ministero nella causa di Frat’Angelo Peluso e correi accusati di reati contro la sicurezza interna dello Stato, da’ i Tipi della Intendenza, Caserta, 1833.
Per leggere la prima parte intitolata "Domenico Morici, figlio di Rossano riformista e liberale" clicca qui