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Il nuovo ospedale rischia di saltare, i soldi ci sono ma non quanti ne servirebbero per realizzare l’opera

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CORIGLIANO-ROSSANO – Lo avevamo ipotizzato qualche mese fa anche se, a dire il vero, l’avevamo inquadrata come l’ipotesi più pessimistica: il nuovo ospedale della Sibaritide rischia di saltare e quella immensa struttura di 60mila metri quadrati che sorge a Insiti potrebbe tramutarsi, da un momento all’altro, nella più grande incompiuta della Calabria. Un vero e proprio ecomostro nel cuore geografico della grande città della Piana. Non è allarmismo ma il rischio concreto - e oggi quanto mai reale - che si è palesato dopo l’avvio delle procedure di una variante tecnica e sanitaria necessaria e indispensabile alla realizzazione del nuovo nosocomio. Variante che ha fatto lievitare di circa il 400% i costi originariamente previsti per la realizzazione dell’infrastruttura.

Per capire lo stato dei fatti e come si è arrivati all’impasse di oggi occorre ritornare indietro nel tempo di 16 anni, a quel 6 dicembre 2007, quando nacque l’idea del nuovo grande ospedale unico della Sibaritide. Una grande opera dal valore di circa 100milioni di euro. Si impiantò un contratto in concessione dove il committente, la Regione, avrebbe dovuto corrispondere una quota dell’80% sulla spesa totale e il rimante 20% lo avrebbe dovuto capitalizzare il privato con un investimento di rientro in venti anni sulla gestione dei servizi. Queste erano le basi.

In dodici anni, dal 2007 al 2019, attorno a questo progetto è successo davvero di tutto: il disegno del nuovo ospedale è cambiato tre volte; vennero prodotte infinite varianti; si registrarono tre pose di prime pietre con tanto di cerimonie e promesse; tutto questo mentre la prima impresa aggiudicataria della concessione, che tra l’altro aveva prodotto un ribasso considerevole sulla gara d’appalto, la società Tecnis di Catania, venne raggiunta da un’interdittiva antimafia che la costrinse ad abbandonare tutti i cantieri, tra cui quello - in realtà mai partito - dell’ospedale della Sibaritide. Questo accadeva attorno alle sorti del nuovo polo sanitario, fuori invece cambiava il mondo. Dalla grande crisi del 2008 per finire alle dinamiche politiche regionali e territoriali passando per la nascita della nuova città di Corigliano-Rossano che stabilì nuovi equilibri territoriali in Calabria.

Senza Corigliano-Rossano non ci sarebbe un nuovo grande ospedale

Mettiamo un punto: senza la nuova città, probabilmente, l’idea del nuovo ospedale si sarebbe arenata definitivamente proprio nel 2019. Perché? Avrebbero prevalso i campanilismi e un investimento esoso per un unico grande nosocomio non sarebbe stato più giustificato dalle dinamiche territoriali. Un restyling generale delle due strutture, che sarebbero rimaste comunque unite in un unico spoke e quindi con servizi spezzatino suddivisi tra l’uno e l’altro stabilimento e in due distinti comuni medio grandi, sarebbe costato molto meno appagando comunque gli appetiti elettoralistici della politica locale.

Il 2020, a fusione fatta, è stato l’anno della svolta. La Regione, sulle ormai pressanti spinte del territorio alla luce della nascita di una realtà comunale di 80mila abitanti, non poté fare altro che mettersi la croce sulle spalle e ripartire con più decisione verso la definitiva realizzazione del nosocomio. Il 4 novembre 2020 a pochissimi giorni dalla scomparsa della presidente Santelli, che diede il definitivo impulso al nuovo corso dell’ospedale della Piana, vengono consegnati i lavori per la realizzazione della grande infrastruttura. A prendersi il carico è la D’Agostino costruzioni di Avellino, subentrata alla Tecnis nella gara d’appalto in concessione.

Quel giorno, in piena pandemia e alle porte della crisi economica mondiale più importante dal secondo dopo guerra, venne fatto un autentico salto nel buio: si sapevano i soldi che erano in cassa per realizzare l’opera (circa 50 milioni di euro degli 80 iniziali) ma, in realtà, nessuno conosceva più il vero costo che avrebbe avuto la realizzazione di quel nuovo ospedale. Sull’area di Insiti, quel 4 novembre, non c’era niente se non un’area di 130 mila metri quadrati recintata, bonificata dai residui bellici e con una “prima fila” di cemento armato che serviva a delimitare l’originaria area di realizzazione dell’opera: per fare tutto questo ci sono voluti 13 anni.

Quello che si vede del nuovo ospedale è nato negli ultimi due anni e mezzzo

E siamo arrivati ad oggi. In mezzo, 26 mesi di lavori a tamburo battente che hanno portato alla realizzazione dello scheletrato della mega infrastruttura di Insiti. Un grande formicaio che ha messo su milioni di metri cubi di cemento e ferro. Costo, circa 25 milioni di euro tra parte pubblica e privata. Ma dicevamo, nel frattempo è cambiato il mondo. Sono cambiati i costi delle materie prime (quadruplicati rispetto al 2007) ed è cambiato anche il modo di fare sanità. Il Covid-19 e gli effetti disastrosi sul sistema sanitario hanno, infatti, costretto a rivedere le regole del gioco. E qui l’ennesima beffa: il piano sanitario dell’ospedale della Sibaritide varato nel 2007 non era più soddisfacente agli standard imposti dal nuovo Piano sanitario nazionale del 2022. Con il rischio, quindi, che l’infrastruttura ospedaliera, calibrata sui vecchi standard, avrebbe aperto i battenti e poi chiusa il giorno dopo per mancanza di requisiti.

La nuova (e necessaria) variante tecnica

Da qui, allora, l’esigenza di varare una nuova variante tecnica e sanitaria che ha materializzato, di fatto, quel grande buco nero in cui nel 2020 si erano infilati Regione e società concessionaria. Ad oggi per completare l’opera, chiavi in mano, in base all’originario contratto di concessione occorrerebbero 295 milioni di euro (oltre iva), di cui 93 già in cassa.

Cifre da record, ma soprattutto cifre impossibili da spendere. Cosa si fa? Le vie sono due: abbandonare il cantiere e lasciare in eredità alla città il più grande e memorabile ecomostro di tutti i tempi di cui si parlerà per il prossimo secolo; oppure trovare una soluzione contrattuale che ridimensioni la concessione del privato, la estrometta dall’allestimento dei servizi sanitari e che chiami dentro a tutti gli effetti i benefici di Azienda Zero varata da Occhiuto e metta in campo le competenze dell’Asp di Cosenza.

In termini più semplici, questo significa togliere al concessionario l’onere di allestire l’ospedale con la strumentazione medica necessaria e trasbordare questo impegno all’Azienda sanitaria provinciale che già gestisce gli ospedali ma soprattutto ha al suo interno competenze specifiche e contatti diretti con i fornitori di servizi ospedalieri. Non solo, attraverso la struttura di Azienda zero si garantirebbe una uniformità dei costi che diversamente, se gestiti dal concessionario, avrebbero prezzi di gran lunga superiore. Questa operazione di scorporo, a conti fatti, produrrebbe un risparmio di quasi 50 milioni di euro. E a questo punto per completare l’opera servirebbe mettere sul piatto altri 140 milioni di euro (oltre all’investimento privato), oltre ai 93 già nella pancia della Regione.

Numeri, tanti numeri, ma sicuramente più razionali rispetto a quelli che si preventivano oggi che rischiano di far saltare il banco e lasciare la Calabria del nord est non solo senza un nuovo ospedale di riferimento che da quasi 20 anni rappresenta la speranza dell’intero territorio, ma anche con un servizio sanitario del tutto deficitario.

La terza via

Ci sarebbe, poi, una terza via, non del tutto peregrina: la rescissione totale del contratto di concessione con impegno di riaffidamento diretto alla società D’Agostino dell’attività di ultimazione della struttura. L’ipotesi c’è ed è sul tavolo. Questo, di fatto, consentirebbe all’impresa di ultimare l’opera in tempi celeri (addirittura entro la fine del mandato legislativo di Occhiuto) e una volta completata affidarla all’Asp di Cosenza che grazie anche alla capacità manageriale che sta dimostrando negli ultimi tempi non avrebbe alcuna difficoltà ad allestire il nuovo ospedale (del resto è nel suo core business) ma anche ad organizzarlo tout-court in modo tale da renderlo funzionale alle esigenze di un vasto e complesso territorio come la Sibaritide.

Ma non è finita, a tutto questo bailamme di cifre ed equilibri mancano ancora all’appello i sottoservizi. Chi pensò a realizzare il nuovo ospedale a Insiti non calcolò (probabilmente perché non credeva che questa struttura prima o poi sarebbe stata realizzata) di urbanizzare quell’area. Oggi il cuore baricentrico della città di Corigliano-Rossano si trova a essere un’area desertificata, senza rete fognaria, senza rete idrica, senza metano… senza nulla. Per realizzare queste infrastrutture occorrerà altro denaro. Chi si assumerà la responsabilità di realizzare tutto questo nessuno lo sa ma tutti sanno giocare a scaricabarile!

Marco Lefosse
Autore: Marco Lefosse

Classe 1982, è schietto, Idealista e padre innamorato. Giornalista pubblicista dal 2011. Appena diciottenne scrive alcuni contributi sulla giovane destra calabrese per Linea e per i settimanali il Borghese e lo Stato. A gennaio del 2004 inizia a muovere i passi nei quotidiani regionali. Collabora con il Quotidiano della Calabria. Nel 2006 accoglie con entusiasmo l’invito dell’allora direttore de La Provincia, Genevieve Makaping, ad entrare nella squadra della redazione ionica. Nel 2008 scrive per Calabria Ora. Nell’aprile 2018 entra a far parte della redazione di LaC come corrispondente per i territori dell’alto Jonio calabrese. Dall’1 giugno del 2020, accoglie con piacere ed entusiasmo l’invito dell’editore di guidare l’Eco Dello Jonio, prestigioso canale di informazione della Sibaritide, con una sfida: rigenerare con nuova linfa ed entusiasmo un prodotto editoriale già di per sé alto e importante, continuando a raccontare il territorio senza filtri e sempre dalla parte della gente.