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La storica fiera di Santa Maria delle Grazie dove un tacchino valeva quanto l'oro!

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CORIGLIANO-ROSSANO - A metà del secolo scorso un appuntamento fisso regolava la vita dei rossanesi ed era l’otto settembre, festa di Santa Maria delle Grazie.

Più che un appuntamento religioso, in cui la chiesa celebra la nascita della Vergine che ha partorito il Cristo, la gente ricordava (e ricorda ancora) la fiera. Era un momento di scambi e commercio, di dialogo e confronto; non c’era contadino che non si recasse nella nota contrada rossanese che prende proprio il nome dalla Vergine Maria delle Grazie per vendere i prodotti della sua terra e gli animali della sua fattoria.

I pochi chilometri che separano la contrada dal centro storico si percorrevano a piedi per partecipare all'evento gioioso. La gioia di stare insieme ai propri vicini era anche quella della passeggiata nella fresca giornata d’estate che era ormai finita.

Fichi secchi e noci la facevano da padrone tra i prodotti della terra, anche se non mancavano le pannocchie di mais, gli ultimi fichi d’India e le verdure, mentre tra gli animali in vendita, maiali e pollastrelle erano tra i più ricercati. I maiali erano acquistati in previsione dell’anno successivo quando, dopo l’ingrasso, sarebbero diventati salsicce e soppressate; mentre le pollastrelle, prima di finire in brodo, dovevano produrre la loro bella quantità di uova.

In tanti si dilettavano a comprendere se le gallinelle fossero buone ovaiole o meno toccando il fondoschiena (…) all’animale; quando la toccata non era convincente ne nascevano delle lunghe discussioni nelle quali il problema più importante però era il prezzo.

Nella compravendita degli animali non mancavano i tacchini, gli asinelli ed i muli. I primi erano ricercati da famiglie più benestanti per il pranzo del Natale mentre gli animali da soma per il lavoro nelle campagne. Anche per questi animali si guardava certamente alla salute degli stessi, ma principalmente al prezzo. Spesso le discussioni sfociavano in accordi che si traducevano in baratto; tre tacchini per un maialetto, cinque pollastrelle per un tacchino e così via.

Durante tutta la giornata un gran vociare si udiva per tutta la contrada, ma c’erano delle zone nelle quali il vocio si trasformava in grida e qualche volta anche in zuffe; era dove i ragazzi si sfidavano nel gioco delle noci.

Tre noci dieci lire e via a sfidarsi tra “cucchi, campanari e castagnuni” tra la gioia di chi vinceva e la delusione di chi perdeva.

Si trattava delle prime noci prodotte, che proprio perché ancora fresche, spesso i contadini le vendevano col mallo. I ragazzi però non potevano aspettare che questo seccasse per poter giocare e lo grattavano su superfici ruvide riducendo nel contempo le proprie mani di un nero che non si lavava neppure col miglior sapone al mondo.

Poco male, il divertimento di quella giornata valeva bene qualche sgridata da parte dei genitori.

Gino Campana
Autore: Gino Campana

Ex sindacalista, giornalista, saggista e patrocinatore culturale. Nel 2006 viene eletto segretario generale regionale del Sindacato UIL che rappresenta i lavoratori Elettrici, della chimica, i gasisti, acquedottisti e tessili ed ha fatto parte dell’esecutivo nazionale. È stato presidente dell’ARCA territoriale, l’Associazione Culturale e sportiva dei lavoratori elettrici, vice presidente di quella regionale e membro dell’esecutivo nazionale. La sua carriera giornalistica inizia sin da ragazzo, dal giornalino parrocchiale: successivamente ha scritto per la Provincia Cosentina e per il periodico locale La Voce. Ha curato, inoltre, servizi di approfondimento e di carattere sociale per l’emittente locale Tele A 57 e ad oggi fa parte del Circolo della Stampa Pollino Sibaritide