Prima dell'avvento dei software e dei social qui si giocava così
Un viaggio di due puntate, insieme ad Albino Nola, nei giochi della tradizione popolare, in quel mondo della generazione del boom economico che viveva di emozioni
di Albino Nola
«Uffa papà non so che fare» mi dice mio figlio, piuttosto annoiato, finendo di giocare con la play station!
Mi è venuto spontaneo tornare indietro con la mente a quando ero bambino-ragazzo, e ricordare le mie giornate ed i giochi che si facevano allora e notare le differenze fra quelli di ieri e quelli...di oggi.
La prima differenza è nel come si trascorreva la giornata in quel periodo (bambini degli anni 60); oggi i ragazzi giocano quasi sempre in casa (play station, nintendo ds, wii, ecc); oppure con il computer collegati a facebook e poi, dalla mattina alla sera con il telefonino in mano sempre con lo sguardo su di esso a messaggiare chissà con chi e…perché!
Quando escono lo fanno per andare in palestra, a scuola di musica, a scuola di danza o chissà che cosa… Noi, invece, in casa si stava poco o niente, perché il divertimento, i giochi, erano esclusivamente ‘menz a strata (vera maestra di vita…) e qui si trascorreva tutto il tempo libero insieme agli amici - amici veri - in carne ed ossa, non virtuali.
Non avevamo bisogno di messaggi o di telefonate per incontrarci, bastava passare sotto casa e fare un fischio e l’amico scendeva; bastava darsi la parola e dire "ci vediamo al solito posto, alla solita ora" e ci si ritrovava tutti.
Si parlava, si discuteva, si rideva, si litigava ma eravamo sempre insieme a guardarci negli occhi, a toccarci (non a vederci sul monitor di un pc o di un telefonino) e si giocava!
Altra differenza è che a noi per giocare ci bastava un niente: delle noci, delle pietre, i tappi delle bottiglie (“i birri”), le figurine. Mentre oggi, come ho già detto prima, i ragazzi hanno tutto e subito e forse proprio per questo sono sempre insoddisfatti! Ed ecco allora, riproporre con questo scritto - che dedico a mio figlio – alcuni di quelli che erano i nostri giochi.
Noi giocavamo: 'A ru carroccil (la trottola); 'A nuci (le noci); 'A birr’ (tappi di bottiglie specialmente di birre da cui il nome del gioco); 'A ra staccia (pietre piatte e rotonde); 'A giocator’ (figurine di calciatori). Poi c'erano anche i giochi che avevano in palio dei soldi: 'A rasa mur’; 'A ru quatrett’; 'A ra manuzza; e poi ancora 'A 51 salva tutti o 'A ra rametta (nascondino); 'A scarica canal’, 'Ar'ancapparedd' e tanti altri ancora e ovviamente – perché anche allora era il “Re” - a pallone.
'A ru carroccil'
U' carroccil (la trottola) era fatto di legno con la punta in ferro e lo si faceva girare tramite u romanedd’, un pezzo di corda che si attorcigliava attorno alla trottola. Per farlo girare c’erano due tipi di tiro: quello più semplice si chiamava suttaman mentre quello più difficile subbaman’. Il gioco prevedeva il “tocco” (la conta) che determinava chi doveva mettere il proprio carroccil per terra; poi, ogni giocatore faceva ruotare il proprio e prendendolo sul palmo della mano dava dei colpi su quello che stava a terra finché u carrocil finiva di ruotare. Quando tutti i giocatori avevano fatto questo, u carrocil che era per terra veniva messo 'a ra lùcia (un buco nel muro) e si davano tanti colpi allo stesso per quante volte lo si era colpito prima. Molto spesso u carrocil si spaccava a seguito dei colpi ricevuti, ma questo faceva parte del gioco.
Spesso si andava in cerca di un pezzo piuttosto grande di tronco di ulivo e lo si portava dal falegname che in cambio ci faceva u carrocil.
'A Nuci
Prima di spiegare come si giocava a noci, è doveroso fare una precisazione. Il periodo per giocarci era settembre e precisamente in occasione della Fiera di Santa Maria delle Grazie che durava tre giorni dove noi ragazzi andavamo a piedi a comprare le noci che si vendevano a numero e non a peso e le mettevamo nella famosa “saccuccia” cucita appositamente per noi ragazzi dalle nonne.
Veniamo al gioco. C’erano due modi per giocare: 'a minar’ o 'a puntar’ e si giocava a cucchji (una noce sopra l’altra) o 'a campanar (3 noci come base e due sopra, una sull’altra).
'A minar: una volta armat’ (posizionate) le noci si tirava al tocco (la conta) per decidere l’ordine del tiro, che si faceva da una distanza stabilita prima, con il castagnunu, una noce più pesante delle altre e quindi meno “ballerina”, e si doveva far cadere più cucchji o campanari possibili, tutte le noci fatte cadere diventavano di proprietà del giocatore, poi, quando l’ultimo giocatore aveva fatto il suo tiro, si aveva l’opportunità di ripeterlo dal punto in cui si fermava il castagnunu al tiro precedente.
'A puntar: le stesse regole precedenti solo che l’ordine del tiro veniva stabilito dal punto in cui veniva posizionato, a scelta del giocatore, 'u castagnunu; chi puntava più lontano aveva diritto a tirare per primo mentre l’ultimo giocatore (chi puntava più vicino) prendeva tutte le noci rimaste in piedi. A proposito del gioco delle noci (ma anche per le figurine) c’è una curiosità simpatica (adesso a raccontarla, allora era meno “simpatica”) alcune volte capitava che passasse qualche ragazzo più grande e prepotente e facesse razza (da razzia) cioè prendeva le noci e se ne scappava (e da qui molte volte nascevano litigi e inimicizie fra compagni).
Continua domenica 24 luglio