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La Settimana Santa, il connubio tra fede e folklore che a Rossano rimane saldo da secoli

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Con la prima domenica di quaresima la chiesa entra nei quaranta giorni che precedono la Pasqua, ma a Rossano, come un po’ dappertutto, le tradizioni ed i riti della Pasqua si concentrano nell’ultima settimana, quella che dalla domenica delle Palme arriva al giorno di Pasquetta.

Ma la Pasqua è vissuta sempre allo stesso modo?

Tralasciando le questioni che riguardano la fede, proviamo a ricordare come si viveva l’aspetto esteriore negli anni passati.

La Domenica delle Palme non era raro vedere i contadini recarsi in chiesa per benedire grossi quantitativi di rami di ulivo che poi portavano in campagna, distribuendoli nei propri terreni; era questo un augurio per avere la benedizione ai propri raccolti affinché fossero abbondanti.

Dal Lunedì Santo cominciava il periodo di mestizia che trovava il culmine nei riti del venerdì Santo. In tutte le chiese si allestiva, ma si allestisce ancora oggi, l’altare della reposizione addobbato con i “lavuredde” preparati anticipatamente dalle pie donne; secondo la tradizione il grano di colore bianco-giallo simboleggiava il corpo di Gesù morto e custodito nel sepolcro, che la Domenica di Pasqua, giorno della resurrezione, riprenderà il classico colore verde a simboleggiare il ritorno alla vita come Gesù che risorge dai morti.

I “lavuredde” si preparavano una ventina di giorni prima della Pasqua mettendo in una ciotola del grano su uno strato di ovatta bagnata, o in un vaso con terriccio, posizionandolo in un luogo buio, cosicché i germogli crescendo rimangono il più chiaro possibile.

I riti del Giovedì Santo, ieri come oggi, hanno sempre richiamato grandi folle di fedeli e curiosi nelle chiese per assistere alla lavanda dei piedi, ma la tradizione è stata sempre quella del successivo giro delle chiese, definito impropriamente “u gire e ri subburchi” (il giro dei sepolcri) quando si dovevano girare almeno sette chiese. Negli anni ’60 del secolo scorso le chiese rossanesi erano di più e si giravano tutte, meglio abbondare.

Probabilmente questo pio esercizio prende forma nella seconda metà del ‘500 quando tanta gente si muoveva per le strade di Rossano. Ma perchè proprio sette? Sette come le virtù? Magari come i peccati capitali, o forse come i doni dello Spirito Santo. O più semplicemente sette come le più antiche e importanti basiliche di Roma. Su iniziativa di S. Filippo Neri prese avvio questa manifestazione di devozione cristiana espressa con il pellegrinaggio dei fedeli verso le sette basiliche più antiche e importanti di Roma: S. Giovanni in Laterano, S. Maria Maggiore, S. Pietro in Vaticano, S. Paolo fuori le Mura, S. Croce in Gerusalemme, S. Lorenzo fuori le Mura e S. Sebastiano.

La tradizione è stata successivamente copiata dappertutto, quindi anche da noi, ma spesso il tutto si trasformava in passeggiata notturna con conseguente valutazione dell’aspetto esteriore dell’altare per la reposizione. In tanti nei tempi passati facevano una sorta di graduatoria per scegliere l’allestimento più bello. Per tantissimi l’altare più bello di tutti era quello di Santa Maria di Costantinopoli, la cappella del vecchio ospedale che veniva curato dalle suore.

Il Venerdì Santo mattina, già prima che spunti il sole, la processione delle cosiddette “congrè” (le congreghe). Negli anni appena passati, complice la pandemia, le tradizioni sono state interrotte, ma in quelli precedenti ogni chiesa aveva la sua “congrè” con il suo portatore della croce che procedeva a piedi scalzi e con un saio bianco che copriva corpo e viso, per visitare tutte le chiese del centro storico. Le canzoni lamentose proprie del periodo echeggiavano per le strade accompagnate dalle tipiche “tocchite”, che venivano agitate più forte quando si entrava e usciva dalle chiese o quando si incontrava un’altra “congrè”. Nei nostri giorni sono solo tre o quattro le processioni che sfilano per le vie della città. Quella più caratteristica è sempre quella dell’Addolorata dove affluisce tantissima gente dallo Scalo e dalle contrade.

Nel pomeriggio in tutte le chiese si celebra la Passione del Signore che per tutti è “a missa arrivogghiata” (la messa celebrata alla meno peggio); chiaramente non è così in quanto le celebrazioni seguono un preciso rituale, ma omettendo la consacrazione dell’eucarestia, la gente pensa a qualcosa non completo.

La processione dei “Misteri” con le statue raffiguranti la passione di Cristo si snoda per le vie cittadine il venerdì sera. Ogni statua, ancora oggi, viene affidata ad un gruppo di portatori, ma quella più ambita resta sempre “a vara” (la bara) con Gesù morto. Decine e decine di uomini in abito nero e guanti bianchi si danno il cambio per avere l’onore di portare il Cristo sulle spalle, mentre la banda suona musiche tristi e quattro carabinieri in alta uniforme si posizionano ai quattro lati del feretro.

Nella prima metà del secolo scorso questa processione ha creato tanti problemi sia alla chiesa, sia all’ordine pubblico; si racconta che qualche statu sia addirittura finita sotto le “timpe”. I portatori, approfittando delle “cantine” aperte bevevano qualche bicchiere di troppo e l’euforia sfociava in liti e contumelie varie.

In quel periodo è stata emanata una disposizione comunale che voleva le “cantine” chiusa durante la processione.

La lunga processione, come sempre, si conclude poi nei pressi della cattedrale con l’omelia del vescovo.

Per tutta la giornata del sabato in tanti si recano presso la chiesa dell’Addolorata per una preghiera davanti alla bara di Gesù con gli scout sempre presenti a dare solennità a questi momenti.

La Domenica di Pasqua, con le campane che suonano a festa, il clima di mestizia si trasforma in clima di gioia per la resurrezione del Signore. Lo scambio dei “cudduri”, (una ciambella intrecciata con uova sode tra le pieghe) dolci o salati ma sempre con “u ranzu” (semini di anice spontaneo profumatissimo) e “pupuliddi” per i più piccoli è d’obbligo in tutte le case. Per il capofamiglia è previsto un “cudduro” con almeno cinque uova, mentre per i figli grandi tre uova. Al “pupuliddu” un solo uovo.

Le varie contaminazioni con pastiere e uova di cioccolato sono abbastanza recenti e dovute al consumismo di cui ormai nessuno fa a meno, ma la tradizione è quella con “cudduri e pupuliddi(se vuoi saperne di più clicca qui).

Dalla gioia della Pasqua di resurrezione, si continua con la gioia e “ru pascune” dove tante famiglie e tanti amici si ritrovano per una giornata a contatto con la natura, con cibo genuino e tanto vino.

Già il nome che è stato dato da noi rossanesi a questa giornata la dice lunga. Mentre nel resto del Paese quella del lunedì dopo la Pasqua è detta Pasquetta, dalle nostre parti si chiama “pascune” (se vuoi saperne di più clicca qui). Che vorrà dire? Credo che possiamo tranquillamente immaginarlo.

Gino Campana
Autore: Gino Campana

Ex sindacalista, giornalista, saggista e patrocinatore culturale. Nel 2006 viene eletto segretario generale regionale del Sindacato UIL che rappresenta i lavoratori Elettrici, della chimica, i gasisti, acquedottisti e tessili ed ha fatto parte dell’esecutivo nazionale. È stato presidente dell’ARCA territoriale, l’Associazione Culturale e sportiva dei lavoratori elettrici, vice presidente di quella regionale e membro dell’esecutivo nazionale. La sua carriera giornalistica inizia sin da ragazzo, dal giornalino parrocchiale: successivamente ha scritto per la Provincia Cosentina e per il periodico locale La Voce. Ha curato, inoltre, servizi di approfondimento e di carattere sociale per l’emittente locale Tele A 57 e ad oggi fa parte del Circolo della Stampa Pollino Sibaritide