Sibaritide, tribunale soppresso e verità rimosse: il PD faccia i conti con la sua storia
Hanno contribuito a chiudere il presidio nel 2012, promesso riaperture mai realizzate, inventato sportelli inutili. Oggi che forse si riapre una porta diventano esperti costituzionalisti e legislatori tafazzisti

CORIGLIANO-ROSSANO - La perdita del Tribunale di Rossano è stata più di un errore politico. È stato un crimine di Stato contro questo territorio. Lo scrivevamo pochi giorni fa, e oggi quella frase risuona con ancora maggiore forza e amarezza. Perché, mentre in Italia si muove qualcosa – il tribunale di Bassano del Grappa viene riaperto, altri stanno per esserlo – qui da noi continua a regnare la miopia politica, il disfattismo locale, il solito – per citare un termine caro al sindaco Stasi – tafazzismo jonico.
Diciamolo francamente, esiste un’occasione vera anche se molto fievole e probabilmente remotissima, perché ancora una volta si è dimostrato che Corigliano-Rossano non è una priorità. Ma il nuovo articolato sulla geografia giudiziaria, approvato dal Governo Meloni, non solo prevede la riapertura di Bassano, ma apre esplicitamente la strada a nuovi decreti nei prossimi dodici mesi per ripristinare tribunali soppressi. È scritto nell’articolo 1, in modo chiaro: si potranno rivedere le circoscrizioni, valutando – tra gli altri fattori – la morfologia del territorio, la criminalità, la distanza dai presìdi di giustizia, il numero di abitanti, la pressione sociale. Tutti parametri che, nel caso del presidio sibarita, gridano vendetta.
Allora, perché non dovrebbe riaprire Rossano?
Perché questa città – la più grande della provincia di Cosenza, sede di collegio circoscrizionale, crocevia della Sibaritide e della fascia ionica – dovrebbe continuare a dipendere da un tribunale periferico?
La verità è che i dubbi non sono tecnici, ma politici. E su questo occorre dire tutto, senza ipocrisie.
Diciamolo chiaramente: se oggi, nell’agone e nel dibattito politico, c’è una forza che ha meno titolarità di altre a sollevare dubbi o fare le pulci al Governo Meloni in merito alla riapertura del Tribunale di Rossano (oggi di Corigliano-Rossano), quella è il Partito Democratico – e, con esso, tutte le sigle e i satelliti che sostennero il governo Monti, responsabile della soppressione dei tribunali nel 2012. E sono di Dem, più di ogni altro, che devono oggi confrontarsi con le proprie gigantesche responsabilità storiche su questa vicenda.
Tutti ricordiamo le passerelle, le promesse, le dichiarazioni dell’allora Ministro della Giustizia Andrea Orlando, ieri come oggi organico al PD. Non solo non fece nulla per riaprire i tribunali soppressi – Rossano incluso – ma introdusse il concetto, vaghissimo e a tratti offensivo, degli "sportelli di prossimità", una toppa istituzionale priva di efficacia concreta, utile solo a sedare il malcontento senza mai affrontare il vero nodo: la restituzione della giustizia a interi territori espropriati dallo Stato.
Nulla fu fatto. Solo parole. Parole che oggi pesano come pietre.
E allora, perché adesso – proprio ora che per la prima volta dopo 13 anni esiste un concreto seppur fievolissimo spiraglio normativo – si sceglie di nuovo la strada della critica fine a sé stessa, dell’analisi cavillosa, della ricerca della contraddizione a ogni costo? Perché questa voglia ossessiva di smontare, diffidare, sabotare?
Serve un fronte comune, determinato, trasversale. Senza guerre di cortile, senza beghe di partito, senza che ognuno, dalle segrete stanze dei partiti e dei circoli locali, voglia recitare la parte del giurista di provincia. Perché diciamolo chiaramente: se di scienziati costituzionalisti nelle segreterie locali se ne contano pochi, di esperti genieri sabotatori col pittulo forse ne abbiamo in quantità eccessiva.
Oggi c’è una possibilità. Concreta, ma fragile. Sta alla politica locale, tutta, decidere se coglierla o gettarla al vento, per l’ennesima volta. Non c’è spazio per il tafazzismo locale.
Corigliano-Rossano o, forse, la Sibaritide deve tornare ad avere un suo tribunale.