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Di caos, entusiasmo e apertura

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In principio era il Caos…e poi?

La dialettica fra i turbolenti, eccentrici e nebulosi discendenti da padre Caos e i disciplinati, prevedibili e impegnati difensori dell’ordine costituito è lunga secoli e potremmo dire si giochi tutta tra due terreni di contesa: la generatività a tutti i livelli e l’approccio esistenziale al flusso della vita.

I miti, si sa, sono nati per dare le prime risposte alle domande fondamentali degli uomini. E quando, in epoca di poco postomerica,  il primo poeta greco di identità certa,  Esiodo, provò a raccontare in versi l’origine degli dei e in realtà del mondo intero, pose all’origine di tutto, come entità primigenia, proprio Caos. Uno stato nebuloso e indistinto, in cui tutto ciò che sarebbe stato era già in potenza, dalla terra al cielo, dal giorno alla notte, compreso il destino o fato.

Entrare nelle parole aiuta a coglierne meglio il significato, l’anima. E chaìno, il verbo da cui il sostantivo chàos deriva, indica non tanto gli aspetti oscuri o tenebrosi, quanto piuttosto l’essere vuoto; meglio sarebbe dire essere aperto. Apertura, quindi, a ciò che sarà, che prenderà via via forma. Questo il senso, credo, più fertile della parola caos. Comunque la vogliate scrivere.

La calda cavità di un ventre materno è atta a generare vita se fecondata d’amore. E così gli antichi, in una complessa allegoria che, più o meno velatamente, credo traslasse la nascita di un individuo fino alla dimensione cosmica, hanno posto Eros come strumento, o forse principio, generativo; non la più semplice divinità con arco e frecce, ma un’inarrestabile forza produttiva dell’universo intero; energia vitale atta a mettere in moto il cambiamento e la perpetuazione attraverso la dinamica di cangianti combinazioni, non sempre tutte felici.

Il bene e il male convivono sempre, si scontrano e si misurano, alla ricerca di un possibile equilibrio, nella cosmogonia di ogni cultura. Nella fisica stessa. Nella vita di ogni essere. E così anche la discordia e il dolore partorirà, per varie strade, il Caos, finché, pur attraverso lotte e sofferenze, non si formerà il Cosmo, in cui tutto sembra aver trovato posto e definizione in una condizione finale di armonia e (provvisoria) stabilità.

Movimento e staticità. Flusso e immobilità. Cambiamento continuo, ricerca sempre aperta e vibrante, vs solidità definita e ferma. Circolarità senza fine, navigazione sempre in corso vs viaggio lineare verso mete definite e con valigie già attrezzate.

La genesi dei processi creativi quanto gli approcci esistenziali si sono divisi, spesso, fra questi due fronti, ponendoli come alternativi, in una logica ad escludendum. La supererei.

Banalizzando, forse sminuendo, ma neanche poi troppo, questo confronto si potrebbe anche iscrivere nella dialettica tra disordine e ordine, imprevedibilità e programmazione; anche furor e téchne.

L’arte è espressione di vita, e come per quest’ultima ci si è interrogati sulle sue origini e sui suoi processi, così è avvenuto per l’altra. Dai padri della filosofia classica al Rinascimento, dal Medioevo al Barocco, dalle Accademie al Preromanticismo,  dal Neoclassicimo ai bohémiens e alle Avanguardie,  in ogni epoca si sono avvicendate fasi di pensiero ed elaborazioni teoriche divise tra quanti hanno individuato l’ispirazione artistica in una sorta di potente, irrazionale e travolgente furor che si impossessa dell’artista e dal caos della sua mente disordinata e fluida tira fuori una manifestazione artistica unica, originale e irripetibile, espressione di un mondo emotivo e passionale che è di quell’individuo e inevitabilmente del suo tempo; o quanti hanno assimilato l’arte ad ogni altra disciplina di studio, tecnica e metodo, con chiari modelli da seguire, definendo, di conseguenza, il pregio finale di una creazione non tanto nella sua originalità quanto nella misura e maniera in cui si è inserita nel canone, a dialogo con i maestri. Tempesta, assalto e passione da una parte. Metodo, disciplina e razionalità ferrea dall’altra.

Gli uni e gli altri hanno prodotto capolavori. A dimostrazione, ove mai ce ne fosse bisogno, che non esiste un solo modo per essere e agire.

Eppure credo fermamente che una fase di caos; una situazione mentale ed emotiva di apertura; un’accettazione della condizione di vuoto indefinito; una convivenza con l’incerto e l’imprevedibile; una disponibilità ad abbracciare senza ansie il disordine e le nebulosità del mondo dentro e fuori di noi possano essere fortemente generativi, fonte di gioia e motori di creatività ed imprenditorialità. Il contrario, penso, sia dettato da una necessità di controllare tutto, che è figlia di paura e sfiducia nelle proprie capacità. E spesso si traduce in rigidità o chiusura.

Da un po’ di anni la scuola -quella comunità esperienziale e vitale dove i nostri giovani prendono forma-  vive nella consapevolezza che la società non garantisce più i punti fermi e quelle tappe fisse e sempre uguali che qualche generazione fa scandivano le vite dei nostri nonni e forse anche genitori; funge da faro la condivisa e necessaria constatazione di una condizione diffusa di liquidità, che a me, però, piace di più definire fluidità. Sarebbe un fallimento programmato, allora, formare cittadini colti, sì, ma armati solo di ordine e disciplina; educati a risolvere solo quesiti a risposta chiusa e unica; convinti che vi sia solo una strada e una verità e che, con la loro solida cultura incellofanata in una pesante valigia, si possano sedere in stazione ad attendere il loro treno. Quanti ragazzi, pur straordinari per impegno e conoscenze,  rischierebbero di non vedere mai passare il loro treno!

Bisaccia leggera in spalla, i nostri ragazzi dovranno piuttosto esplorare il mare, pronti a dominare il turbinìo dei venti, non a timbrare un biglietto; a nuotare nell’imprevedibilità degli oceani, non a sedersi fino alla stazione successiva. Dovranno perciò viaggiare armati di metodo, autostima e quell’entusiasmo che, etimologia alla mano, altro non è che il saper tenere dentro, vivo, mai spento, quel dio che, a mio avviso, è molto simile alla primigenia divinità del mondo: il Caos. Eros lo feconderà e quel vuoto dentro sarà -per loro, ma per ciascuno di noi!- lo spazio aperto, il ventre, l’universo interiore in cui realizzare le loro potenzialità e dare forma al loro cosmo. Senza ansie, senza paure. Ma con amore, armonia e fiducia nella vita

Alessandra Mazzei
Autore: Alessandra Mazzei

Diploma classico, laurea in Lettere classiche a La Sapienza, Master in Pedagogia, insegue una non facile conciliazione tra bios theoretikos e practikos, dimensione riflessiva e solitaria, e progettualità concreta e socialmente condivisa. Docente di Italiano e Latino, già Assessore alla Cultura e Turismo di Rossano, impegnata in diverse associazioni socio-culturali, ma, prima e più di ogni altra cosa, mamma, felice, di Chiara Stella, Gabriele e Sara Genise. Ha grande fiducia nelle capacità dei giovani, degli studenti, di quelli che poi restano e di quelli che vanno pensando un giorno di tornare. Spera di poter contribuire, insieme a loro e ad amici ottimisti, alla valorizzazione di questa terra di cui sente da sempre la forza delle radici, accanto al bisogno di paesaggi culturali ampi e aperti. Ama la scrittura, che vive, al pari dell’insegnamento, come itinerario di ricerca e crescita personale, da coltivare in forme individuali e collettive.