Corigliano-Rossano non vuole più paura: «Non siamo ciechi né muti»
I ragazzi scrivono: «Non vogliamo rassegnarci alla paura». Servono più investigatori e magistrati, non solo pattuglie: la criminalità si sconfigge con le indagini, non con la deterrenza

«Non siamo ciechi né muti. Siamo stanchi di vivere nella paura». Comincia così una mail arrivata stanotte in redazione. È anonima, il mittente è fittizio, ma poco importa. Perché qui conta cosa dice, non chi la firma.
È il grido di chi non vuole più vedere Corigliano-Rossano trasformarsi in un perenne teatro di violenza, intimidazioni, sparatorie, tensioni. Di chi rifiuta l’idea che la paura diventi parte della quotidianità o, peggio, normalità!
«Non vogliamo rassegnarci. Non vogliamo più vedere la nostra città morire piano piano, nell’indifferenza».
Certo, non è un’accusa. Non è nemmeno sterile polemica. È un semplice e accorato appello. Un invito alla responsabilità. Alle istituzioni, certo, ma anche a tutti noi. Ai cittadini, ai commercianti, ai giovani stessi. Perché la sicurezza di una comunità non passa attraverso ambientazioni in stile Full Metal Jacket. Si costruisce con il lavoro paziente e invisibile di chi indaga. Di chi ricostruisce intrecci, trame, dinamiche. Di chi colpisce al cuore la malapianta della criminalità con l’unico vero strumento di vittoria democratica: la verità processuale.
Perché la verità è semplice e dura: la criminalità non si sconfigge solo con la deterrenza, si sconfigge con le indagini. Si sconfigge quando ci sono investigatori numerosi e formati, più magistrati che possano dedicarsi con tempo e risorse a questa terra; più forze dell’ordine presenti ma nella misura giusta per presidiare il territorio e garantire la serenità di chi vive qui.
Ecco perché la perdita del Tribunale di Rossano, anni fa, è stata più di un errore politico. È stato un crimine di Stato contro questo territorio. Ha tolto presidi di giustizia, ha allontanato a decine di chilometri la speranza di tutela diretta, ha costretto una piccola Procura come quella di Castrovillari a farsi carico di un territorio immenso, complesso, ferito, senza adeguate forze numeriche.
Non è un caso se oggi tanti ragazzi si chiedono «dove sono le forze dell’ordine? Perché non si interviene con decisione?» è una reazione condizionata contro uno Stato che è arretrato e che qui ha lasciato soli i suoi uomini a contrastare l'anti Stato con "sciabole e baionette".
Non è un atto d’accusa contro chi ogni giorno lavora per la legalità e la giustizia, anzi. È un atto di fiducia. Perché chi scrive queste parole sa bene che solo un’azione sinergica tra polizia giudiziaria, investigatori, magistrati e cittadini può fermare la deriva.
Questa città non è il Bronx. Non è il Far West. Non è una quinta per un film di Sergio Leone. È una città nobile, di cultura, fatta di gente onesta, di giovani che non vogliono sentirsi abbandonati ma parte di un progetto di rinascita.
«Questo è un grido d’allarme, ma anche un appello alla responsabilità. Noi non siamo complici, e non vogliamo essere vittime silenziose».
Oggi, dare spazio a queste parole significa riconoscere che la vera battaglia non si combatte solo con le pattuglie sulle strade, ma con i dossier studiati, gli incastri ricostruiti. Con magistrati presenti in numero congruo, con investigatori in numero adeguato, con risorse vere.
Corigliano-Rossano dallo Stato merita di più. E stavolta a dirlo, a gran voce, sono proprio i suoi figli.