Mendicino, dalla Repubblica Partenopea ai giorni nostri
Ecco la terza parte del saggio storico scritto dal professor Carlino su Mendicino, borgo dal considerevole patrimonio archeologico, monumentale e religioso
Dalla Repubblica Partenopea al Decennio francese, al Risorgimento e all’Unità d’Italia
Nel 1799, le disposizioni amministrative ordinate durante la Repubblica Partenopea, consideravano Mendicino un Comune nel Cantone di Cosenza. Con il Decennio francese andava in soffitta l’epoca feudale. Nell’Ottocento, in seguito all’entrata in vigore della legge 19 gennaio 1807 varata dai Francesi, il Comune diveniva sede di un Governo del quale facevano parte alcune Università come Carolei, Cerisano, Castelfranco e Marano Principato. Il successivo decreto del 4 maggio 1811, istitutivo dei Comuni e Circondari inseriva Mendicino nel nuovo Circondario di Cerisano. Nel 1815, la caduta di Napoleone e il ritorno dei Borbone nel Regno di Napoli, portarono a un periodo destabilizzante che sfociò in iniziative caratterizzate da forti contestazioni e rivolte. Fu l’inizio di quel processo rivoluzionario noto come Risorgimento Italiano, che si prolungò per circa mezzo secolo, portando nel 1860 all’Unità d’Italia. Vicende nelle quali, come tutti i paesi dell’hinterland cosentino e della provincia anche Mendicino prese parte attiva.
Popolazione e andamento demografico
Le statistiche demografiche e gli studi al riguardo ci consegnano un quadro molto composito dell’andamento demografico della popolazione mendicinese e ci fanno comprendere come generalmente a parte qualche sporadica pausa la popolazione, negli anni, sia sempre cresciuta. Da alcune note storiche del passato si rileva che in prossimità della metà del XVI secolo Mendicino possedeva 174 Fuochi. Considerato che ogni singolo fuoco, orientativamente era di 5 abitanti, si può dire che il paese di abitanti ne contava 870.
Nel 1545 i Fuochi erano 266 (1.330 ab.), nel 1561 arrivarono a 331 (1.655 ab.), nel 1591 si ebbe una lieve flessione con 304 (1.520 ab.), nel 1648 vi fu ancora una flessione e i Fuochi censiti erano 260 (1.300 ab.), infine nel 1669 diventarono 201 pari a (1.005 ab). Alla fine del Settecento la popolazione finì di essere conteggiata in fuochi e si procedette invece registrando direttamente il numero delle persone. Il quel tempo erano 2.850 che passarono a 2.400 mel 1815, a 2.828 nel 1825 e a 3.815 nel 1849.
Dopo l’Unità d’Italia iniziarono i Censimenti ufficiali e la sua popolazione di fatto, fece registrare il seguente andamento demografico: nel 1861 (3.269), dopo l’Unità d’Italia, si registrò il minimo storico di Mendicino, nel 1871 (3.688), nel 1881 (3.627), nel 1901 (4.040), nel 1911 (4.164), nel 1921 (4.301), nel 1931 (4,254), nel 1936 (4.484), nel 1951 (4.752), nel 1961 (4.183), nel 1971 (3.881), nel 1981 (5.133), nel 1991 (6.418), nel 2001 (8.084), nel 2016 (9.517) il paese raggiunse il su massimo storico.
Patrimonio archeologico, monumentale e religioso
Considerevole il suo patrimonio archeologico, monumentale e religioso. Tra le diverse testimonianze monumentali campeggia senza alcun dubbio la torre dell’orologio. Si tratta di una costruzione della quale non si hanno notizie sulla reale data della sua edificazione, ma si sa che la struttura oggi esistente era già presente, verosimilmente, già nei primi decenni del XIX secolo. Architettonicamente la torre, collocata nell'antica zona Castello, è dotata di merli (elementi terminali a scopo di riparo e decorativo) e di orologi ed è posta nella parte più elevata del poggio in posizione dominante il centro storico di Mendicino. È possibile raggiungerla percorrendo a piedi una rilevante e particolare gradinata realizzata nella parete rocciosa. Inoltre, interessanti risultano l’area nella quale si colloca una vecchia fontana a quattro canali circondata da un ambiente molto verdeggiante presente nell’imminenza del fiume Caronte, un arco e inoltre una vecchia porta d’ingresso al borgo.
Per quanto riguarda le testimonianze urbanistiche si ricorda la residenza signorile, della famiglia Del Gaudio, oggi Campagna per successione femminile, avendo il barone Campagna sposato Gaetana Del Gaudio. Il palazzo realizzato in pietra lavorata da maestranze locali è presente nel vecchio rione Pilacco e la sua costruzione è risalente alla seconda metà del XVIII secolo. Una dimora nobiliare di indiscusso valore storico-architettonico opportunamente restaurato ed attualmente destinato a ambiente adatto a convegni e celebrazioni culturali in genere.
Per quanto riguarda il patrimonio archeologico di grande interesse risulta l’Area archeologica di San Michele, decretata dalla Sovrintendenza BB.AA.RC n.829/1982, come "agglomerato urbano del IV-II secolo a.C.". Sempre riferito alla medesima area grande richiamo è offerta dalla cosiddetta grotta delle Palazze, la quale per come riportato nel documento preliminare del Piano Strutturale Comunale del Comune di Mendicino, Legge Urbanistica 16 aprile 2002 n. 19, «In contrada “le palazze” o “le palagia” come rilevato nei catasti onciari del 1700 (toponimo generalmente indicante aree in cui affiorano dal terreno ruderi di epoca romana),esiste una piccola cappella in pietra di forma circolare sulla cui parete di fondo c'è un dipinto murario di straordinario valore storico, poiché in esso è ritratta la città di Mendicino in epoca antecedente il 1774. Il dipinto della grotta di Don Lisandro, come la chiamano i contadini dell’area, é uno squarcio della Mendicino del passato»1.
Altri elementi di rilievo circa il profilo archeologico sono considerati le rovine di una antica centrale idroelettrica risalente agli inizi del XX secolo, ciò che rimane di una remota teleferica un tempo adibita al trasporto del legname e in attività fino agli anni ’50 del passato secolo e l’antico convento di S. Chiara nella località Candelisi dove dimoravano le Clarisse. Interessanti anche alcune case signorili di campagna (Casini) quali quelli Cupelli, Martirano e Telesio e alcuni mulini ad acqua che hanno scritto la storia di Mendicino.
Per quanto riguarda invece, il patrimonio religioso interessanti sono le sue Chiese. La prima, quella parrocchiale, Matrice del luogo, intitolata a San Nicola di Bari, collocata nel centro storico nella vecchia piazza del Duomo adiacente alla torre campanaria, caratterizzata dal prospetto principale in blocchi di tufo lavorati. La facciata è dotata di tre portali. Il primo centrale sovrastato da un rosone, mentre i due portoni laterali sono sormontati rispettivamente da due monofore. Sempre sulla facciata campeggiano due grandi immagini rappresentanti i Papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II.
Secondo alcune informazioni storiche, ma non documentabili, pare che fosse già presente durante l’epoca normanna, ma non si esclude che per la presenza di mura sotto l’attuale costruzione questa possa essere stata eretta sul basamento preesistente di un tempio già presente ai primi secoli del cristianesimo. La chiesa, oggetto di più rifacimenti, presenta peculiarità sette-ottocentesche. L’odierna costruzione alla quale si accede attraverso una gradinata è stata ristrutturata tra la metà e la fine del XIX secolo. Il suo interno, a unica navata caratterizzato per le sue sei cappelle laterali sistemate tre per ogni lato, conserva un altare marmoreo con tabernacolo, sovrastato da una pala d’altare di grandi dimensioni posta al centro sulla quale è dipinta l’immagine della Madonna con Bambino, collocata tra le due figure di Santa Caterina e San Nicola, Patrono della Città, festeggiato il 6 dicembre di ogni anno.
La seconda Chiesa è quella di San Sebastiano anch’essa collocata nel centro storico di fronte alla Matrice di San Nicola. Si tratta di una costruzione cinquecentesca utilizzata lungamente come punto di ritrovo della omonima confraternita. La facciata principale è stata costruita con la caratteristica pietra rosa del luogo. Al centro un portale di pietra lavorata sovrastato da un’ampia finestra suddivisa in quattro luci uguali mediante una croce in pietra a sua volta sormontata da una bifora posta sulla copertura del manto di tegole, esempio tipico dell’architettura medioevale. Sul lato destro parte della struttura ribassata e coperta da un manto di tegole è presente una grande monofora nel suo prospetto. La Chiesa, al suo interno, conserva una statua settecentesca del santo, una tela del XIX secolo ritraente San Sebastiano Martire e una pala d’altare.
La terza Chiesa di Mendicino è dedicata a San Pietro. Si scorge nella parte più bassa del paese. La costruzione in passato faceva parte del Convento dei Domenicani abolito poi nei 1809, a seguito delle soppressioni napoleoniche, volute da Napoleone nel corso della Rivoluzione francese, con le quali vennero cancellati i numerosi ordini religiosi e le confraternite. Poco rimane della struttura monastica, mentre il prospetto principale esibisce un singolare portale in pietra che richiama lo stile tipico rinascimentale. Sulla facciata il portale è sovrastato da una monofora rettangolare, mentre sul lato destro della struttura in muratura protetta da intonaco, in alto spiccano tre monofore e un ingresso secondario servito da gradini. Al suo interno a unica navata sono preservati alcuni dipinti su parete ritraenti la vita di San Pietro, due tele ritraenti Santa Rosa e San Giuseppe e infine una ulteriore tela del Settecento riproducente la Madonna del Rosario, Patrona della Città solennizzata la prima domenica di ottobre. Quest’ultima realizzata da Giuseppe Pascaletti (1699-1757), pittore cosentino di Fiumefreddo Bruzio, ritenuto uno dei più apprezzati artisti del XVIII secolo. Sempre dall’interno della Chiesa si accede ad un’ampia cappella laterale consacrata alla Madonna del Rosario.
In Mendicino è presente anche il Santuario di Santa Maria dell’Accoglienza dedicato all’Assunta e al cui interno si trova la sua pregiata immagine. Il sito sul quale sorge riconduce al VI-VII secolo epoca dei primi insediamenti cristiani. Le origini della primitiva costruzione, invece, ci portano al periodo normanno, per via, come riportato nel sito comunale, del ritrovamento di un campanello datato 1096. Questa venne abitata da monaci appartenenti all’Ordine Florense. L’attuale struttura, edificata in pietra locale di tufo, e alla quale si accede mediante una imponente scalinata che porta sul sagrato della Chiesa, presenta il prospetto principale dotato di un meraviglioso portale in stile gotico sovrastato da un rosone che riprende il motivo ornamentale architettonico del quadrilobo. Tra il portale e il rosone un mosaico variamente colorato ritrae la figura del Cristo. Sulle pareti dei lati spiccano in alto una serie di finestre monofore. La Chiesa si presenta a navata unica con volta a botte e pianta a croce latina per via del transetto (spazio che si sviluppa tra la navata e l’abside). Nella parte absidale è collocata la statua litica raffigurante la Madonna di Schiavonea, mentre ai sui lati sulla parete campeggiano due pitture riproducenti San Marco e San Matteo. Interessante per le sue peculiarità il portone centrale realizzato da formelle decorative in bronzo nelle quali sono state riprodotte con la tecnica dell’incisione figure riproducenti la passione della Madonna di Santa Maria Assunta.
A quanto già riferito, ma fa parte della storia di oggi, si aggiunge la Chiesa di Cristo Salvatore di recente costruzione.
Economia
Come già accennato la sua economia, grazie alla fertilità del suo territorio, si basa prevalentemente sulle attività legate all’agricoltura e all’allevamento, ambiti nei quali è richiesto ed è impiegato un rilevante numero di addetti che ne rivestono un ruolo di fondamentale importanza. La prima con la produzione di cereali, in particolare grano, biada, e poi ortaggi, legumi, olio, vino, frutta in genere e foraggio per gli animali grazie alle amenità dei suoi pascoli. Ma nel suo territorio si producono anche castagne e anticamente importante era la gelsibachicoltura e la conseguente produzione della seta, avviata nel suo territorio intorno all’XI secolo dagli Ebrei, facendo diventare Mendicino uno dei più attrezzati centri produttivi nella provincia di Cosenza. Un’attività che contrassegnò fino al passato secolo la sua economia come volano di sviluppo, tanto da determinarne in loco una vera e propria industrializzazione, con la nascita di numerose filande per la lavorazione della seta. Testimonianza di quanto vado narrando è la presenza in Città del Museo della Seta, nel quale è possibile ammirare il resoconto archeologico di questo tipo di industria attraverso il recupero delle vecchie filande, della tradizione locale sulla lavorazione e della certificazione a riguardo. Il Museo è stato allestito nel centro storico nei locali restaurati di una antica filanda funzionante tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. La seconda attività riguarda l’allevamento di bestiame, in genere pecore, capre, mucche, maiali, cavalli e pollame. Ma la sua economia è legata anche ad alcune attività industriali e terziarie operanti nei settori più vari tra cui quello dell’edilizia e della lavorazione del legno. Infine il suo territorio si caratterizza per la presenza di cave dalle quali si estrae la pietra focaia.
BIBLIOGRAFIA
[1] Comune di Mendicino, Piano Strutturale Comunale del Comune di Mendicino,