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Universo femminile e abusi, Gioiello: «Donne sempre più consapevoli e meno disposte a tollerare»

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CORIGLIANO – ROSSANO – Eppure qualcosa sta cambiando. Non nella società o nella cultura purtroppo, dove l’universo femminile è visto ancora come qualcosa di sottoposto a quello maschile, ma nella consapevolezza delle donne e dei loro diritti. Nel nostro territorio le vittime di violenza denunciano di più: hanno il coraggio di uscire dall’ombra e di chiedere aiuto.

Il quadro ce lo fornisce Antonio Gioiello, presidente dell’associazione Mondiversi.

«Posso dire che nel nostro centro antiviolenza, dal 2013 ad oggi, sono state prese in carico 273 donne. Trenta solo nell’ultimo anno». Non ha dubbi il presidente di Mondiversi: «quello che prima era considerato “normale”, i piccoli o grandi abusi che le donne sono state disposte a subire finora, adesso vengono giustamente riconosciuti e riferiti come atti di violenza. C’è più consapevolezza di dove deve essere tracciato il confine della tolleranza».

Un cambio di rotta testimoniato anche dal numero dei contatti con l’associazione anti violenza negli ultimi 12 mesi. Cento donne si sono rivolte a Mondiversi per chiedere semplicemente informazioni, capire quali tutele avrebbero avuto qualora avessero deciso di denunciare, conoscere quale sarebbe stata la sorte dei propri figli. Altre invece hanno intrapreso un percorso di salvezza vero e proprio appoggiandosi alla casa rifugio e avviando l’iter giudiziario verso il compagno.

Ma oltre ad un cambiamento ideologico e culturale che vada a scardinare certi principi ormai insiti in una società patriarcale che si ostina a porre la donna ad un gradino più basso rispetto all’uomo, per il presidente di Mondiversi occorre intervenire a livello legislativo.

«Bene quanto fatto dal Governo e il potenziamento del codice rosso – spiega Gioiello – ma c’è bisogno di una legge quadro che unisca tutti i provvedimenti e che metta a sistema e regoli l’operato di tutti i soggetti coinvolti nella tutela delle donne in caso di abusi: le Forze dell’Ordine, le Associazioni ma anche i Servizi Sociali e il Sistema Sanitario».

Nella Sibaritide ma più o meno in tutta la Calabria, per Gioiello sarebbe proprio il Sistema Sanitario l’anello debole. «Quando una vittima accede al pronto soccorso dichiarando di aver subito violenza – precisa il presidente – occorre avviare un protocollo standardizzato al livello nazionale per espletare tutti quegli accertamenti ed esami specifici necessari poi, in caso di processo, a sostenere l’accusa. Nel nostro territorio – prosegue – non sempre tutti questi accertamenti vengono effettuati in maniera completa e corretta e in sede di dibattito poi, sebbene alcuni aspetti siano evidenti, vengono a mancare delle prove fondamentali».

C’è poi tutto l’aspetto assistenziale che dovrebbe essere riservato a queste donne. «C’è un universo a parte anche sul piano della violenza domestica. In tante si presentano con un piede o un braccio rotto. Dicono di essersi fatte male da sole. Quando ci sono altri segni o altre evidenze - insiste Antonio Gioiello - si dovrebbe approfondire di più. In caso di sospetta violenza domestica dovrebbe scattare un procedimento di accoglienza riservato in cui la donna ha il diritto di sentirsi al sicuro».

Per il presidente di Mondiversi sarebbe troppo facile limitarsi ad esortare di andare a denunciare. C’è tutto un percorso dietro fatto di paure e incertezze sul domani. «Le vittime di violenza trovano accoglienza nelle case rifugio, dove è consigliabile stare almeno per sei mesi. Occorre il tempo per avviare le procedure giudiziarie e bisogna fare in modo che l’uomo venga allontanato dalla donna nelle misure che la legge prevede. Spesso però la vittima ha l’esigenza di tornare a casa, dei figli, un lavoro che la aspetta. Chi chiede aiuto è libero di andare via dalle case di accoglienza in qualunque momento lo desideri. Il problema è che in alcuni casi il carnefice è ancora “libero” di avvicinarsi di nuovo alla vittima».

Un cammino in salita, una battaglia di emancipazione e di liberazione che non può che passare ed essere vinta soltanto attraverso una rivoluzione culturale e sociale.  «Oltre ad una maggiore preparazione dei soggetti che lavorano in quest’ambito – commenta il presidente di Mondiversi – è necessario lavorare sulla mentalità della nostra società. Si sbaglia quando un caso di violenza sessuale o domestica viene classificato come un problema individuale, ossia solo di quella donna o di quella famiglia in cui si verifica. La questione è collettiva. E’ culturale».

E a proposito di sensibilizzazione e di lavoro sulla collettività, domani al Metropol previsti due appuntamenti in cui l’Arte si schiera, come sempre, contro la violenza sulle donne. Alle 10 in scena la rappresentazione teatrale Esmeralda e le altre per il pubblico delle scuole superiori, mentre alle 21 avrà inizio il concerto “Amata Mortale” ad ingresso libero.

Valentina Beli
Autore: Valentina Beli

“Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare” diceva con ironia Luigi Barzini. E in effetti aveva ragione. Per chi fa questo mestiere il giornalismo non è un lavoro: è un’esigenza, una passione. Giornalista professionista dal 2011, ho avuto l’opportunità di scrivere per diversi quotidiani e di misurarmi con uno strumento affascinante come la radio. Ora si è presentata l’occasione di raccontare le cronache e le storie di un territorio che da qualche anno mi ha accolta facendomi sentire come a casa. Ed io sono entusiasta di poterlo fare