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Cos’è il porto di Corigliano? Una domanda da un milione di dollari che vale la fortuna della Sibaritide

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CORIGLIANO-ROSSANO – Che cosa è il porto di Corigliano? In ballo c’è un investimento di quasi 60 milioni, messi sul piatto dalla multinazionale Baker Hughes per un piano industriale che dovrebbe garantire finalmente uno sviluppo marittimo della darsena. Ma poi ci sono anche le doverose, giuste e non secondarie pretese dei pescatori che quella struttura la vivono e custodiscono da 50 anni. E infine ci sono le aspirazioni turistiche. Su tutte, una banchina crocieristica di oltre 300 metri che da ormai un decennio è in predicato di essere realizzata in un’area della darsena non lontana dalla stazione marittima. Insomma, tanta carne a cuocere che potrebbe portare finalmente forma e sostanza ad una delle infrastrutture sottosviluppate del Meridione o finire miseramente, ancora una volta, in una bolla di sapone.

Per conoscere lo stato dell’opera siamo andati – come sempre – alla fonte. Abbiamo chiesto alla struttura competente, all’Autorità di Sistema Portuale dei Mari Tirreno meridionale e Jonio, qual è la prospettiva reale, attuale, concreta che gravita attorno e dentro al grande porto della Sibaritide, che ha tutte le prerogative per trainare l’economia del territorio.

Ci siamo confrontati con Alessandro Guerri, responsabile delle sedi periferiche dell’autorità portuale di Gioia Tauro, intervistato nel corso dell'ultima puntata dell'Eco in Diretta (rivedila qui). Con lui abbiamo un po’ giocato al vero o falso, sottoponendogli una sintesi di quelle domande che appartengono al popolo, che stanno sulla bocca della gente di Corigliano-Rossano che quel porto lo vede solo a distanza.

Alessandro Guerri

Cos’è il Porto di Corigliano-Rossano?

«Questo porto nasce come porto industriale. L’innesto nella rete marittima, però, non è riuscito benissimo, proprio perché il polo industriale non è mai nato. È un porto artificiale, non storico. In più la collocazione non è favorevole visto che si trova nell’insenatura più interna del Golfo di Taranto: non si trova sulle rotte marine e per raggiungerlo bisogna venirci apposta».

C’è chi sostiene che il porto di Corigliano sia nato come ricovero per pescatori. È questa la narrazione che c’è nel nostro territorio. È davvero così?

«La marineria di Schiavonea è una marineria importante nel bacino del Mediterraneo, lei si che è storica, con un pescato di particolare pregio. L’autorità di sistema portuale ha fatto partire progettazione e investimenti per migliorare le condizioni dei ricoveri delle unità di pesca nei porti Jonici e quindi anche a Corigliano. Ma per fondali e altezza, le banchine non sono state assolutamente progettate per i pescherecci. L’unica banchina che ha caratteristiche ideali per la marineria peschereccia è la numero 7 (quella a ridosso del mercato ittico, ndr). Ad ogni modo i pescatori sono una realtà di questo porto; ci sono, ci devono stare e in condizioni migliori rispetto a quelle attuali».

Per la stazione marittima di alaggio e varo, rimasta lì inutilizzata per quasi 40 anni, c’è un progetto di rilancio sbloccato dal management dell’autorità portuale. Un ferro vecchio che oggi trova nuova vita. Come avete fatto?

«La situazione era complicata più da un punto di vista burocratico che non strutturale. C’era una stratificazione di errori amministrativi. La prima delle quali l’accatastamento. Questo immobile sulle carte non esisteva, perciò è stato complicato trovare la maniera per avviare una procedura prima per riconoscerlo e poi per affidarlo in concessione. È stato fatto. C’è un imprenditore che ha ritenuto sostenibile economicamente la presa in carico dell’immobile e il perfezionamento delle opere non ancora concluse. Questo stesso imprenditore è molto convinto che porterà a termine l’investimento rendendolo produttivo. Chiaramente questo garantirà in primis ai pescatori la possibilità di manutenere le loro unità nel punto più vicino che la costa possa offrire e potrebbe essere anche l’occasione per l’investimento in barche migliori».

L’ammiraglio Agostinelli diceva che la rimessa in esercizio di questo importante presidio porterà anche alla creazione di qualche posto barca per il diportismo. È vero?

«Sì. Questo imprenditore che ha richiesto la concessione dell’immobile è interessato anche alla possibilità di installare dei pontili per ricevere o accogliere barche da diporto. A mio avviso con le dotazioni logistiche e le capacità idonee del cantiere si potrebbero ricevere anche yacht di medie a piccole dimensioni da tutto il bacino jonico. Anche se sul diportismo bisogna parlarsi chiaro: per andare sul diportismo vero, quello che coinvolge imbarcazioni di lusso e, quindi, vada ad intercettare armatori extra territorio, ci vorrebbe un aeroporto in prossimità del porto. Perché se un imprenditore romano volesse installare una barca a Corigliano e il porto fosse bravo a fornirgli i servizi che gli interessano è chiaro che la disponibilità del volo tutti i giorni da Roma potrebbe essere una chance, come ad esempio avviene a Vibo e da qualche settimana anche a Crotone».

Il porto di Co-Ro in quanto a dimensioni poco gli manca per essere come quello di Civitavecchia che è un esempio polivalente all’interno del bacino del Mediterraneo. Sappiamo che c’è un’idea di investimento industriale per il della sibaritide. Di cosa si tratta? È un piano che prevede inquinamento o contraccolpi pesanti per il territorio?

«Partiamo dal raffronto con Civitavecchia. Da quando ho assunto l’incarico a Gioia Tauro è una domanda che mi sono posto tante volte. E mi sono sempre chiesto quale potesse essere la tipologia di traffico, di servizio, di attività da provare ad attrarre in un porto dove ciò non è mai avvenuto. La cosa più semplice da andare a cercare sarebbe stata un traffico RO-RO, per cui un armatore avrebbe deciso di fare il tratto Catania-Augusta-Corigliano, anziché via gomma traversando lo stretto, oppure da Igoumenitsa in Grecia scalando a Corigliano e poi da Corigliano tramite l’A2 per raggiungere il resto del Paese. La domanda è “che cosa avrebbe lasciato nel territorio di Schiavonea?” Certo qualche operatore portuale in più lo si sarebbe potuto assumere però chiaramente sarebbe stato un aggravio di traffico per la rete viaria della zona a fronte di una ricaduta limitata e con effetti come rumore, inquinamento, ecc. Invece noi abbiamo pensato e abbiamo visto che cosa fanno altri porti europei. Cioè la logistica a bordo banchina. Negli ultimi anni si stanno sviluppando le casistiche in cui è necessario produrre o semi-produrre o completare un ciclo di produzione nell’imminenza della banchina».

Ma concretamente di che cosa stiamo parlando? Quali sono le intenzioni di Baker Hughes sul porto di Corigliano? Cosa verrà a fare?

«Viene a produrre elementi metallici di grandi dimensioni, fuori scala, che vedranno un approvvigionamento di materiali dal mare e la partenza di pezzi finiti dal mare, quindi consente di ottenere un numero elevato di posti di lavoro, anche di qualità, e consente di bypassare il problema storico della regione Calabria dei trasporti. Noi stiamo cercando di portare investimenti a Corigliano utilizzando questo porto dalle grandi dimensioni dei piazzali, dai fondali moderatamente alti, dalle grandi banchine in una sua parte, per provare a insediare una produzione fra l’altro di qualità e che potrebbe essere foriera di ulteriori investimenti da parte del gruppo».

Avete avuto anche altre proposte di utilizzo del porto sulla declinazione industriale?

«Noi abbiamo scelto come politica per il porto di Corigliano il tentativo di attrarre elementi economici che avessero la necessità di produrre a bordo banchina. Ora siamo qui a narrare la storia di Baker Hughes che ha depositato una richiesta di concessione. L’altro è quello dell’Eolico Offshore. Quindi dovranno essere individuati dei porti che supportino la produzione delle torri eoliche. Abbiamo ricevuto una richiesta di concessione per Corigliano, ma da una prima analisi non valorizzava le caratteristiche del porto, non ci dava garanzie in termini di occupazione e durata dell’occupazione, tant’è che non l’abbiamo neanche pubblicata e mandata in conferenza dei servizi, ma rigettata. Devo dire la verità: noi siamo partiti da quello. Cioè di fare del porto di Corigliano un hub per la produzione dell’eolico. Non è detto che ciò non accada perché aree libere del porto ce ne sono ancora, però al momento le istanze che erano pervenute non ci sono sembrate idonee per affidare aree così importanti del porto di Corigliano a questi soggetti».

Un ultima domanda, il piano industriale di Baker Hughes non comprometterebbe la realizzazione della banchina crocieristica, giusto?

«No, è in un’altra area quindi non c’è interferenza di sorta. Le rotte delle navi che dovrebbero andare allo stabilimento produttivo piuttosto che al termine delle crociere di futura realizzazione non hanno interferenze, quindi non ci sono criticità reciproche tra le due cose».

Marco Lefosse
Autore: Marco Lefosse

Classe 1982, è schietto, Idealista e padre innamorato. Giornalista pubblicista dal 2011. Appena diciottenne scrive alcuni contributi sulla giovane destra calabrese per Linea e per i settimanali il Borghese e lo Stato. A gennaio del 2004 inizia a muovere i passi nei quotidiani regionali. Collabora con il Quotidiano della Calabria. Nel 2006 accoglie con entusiasmo l’invito dell’allora direttore de La Provincia, Genevieve Makaping, ad entrare nella squadra della redazione ionica. Nel 2008 scrive per Calabria Ora. Nell’aprile 2018 entra a far parte della redazione di LaC come corrispondente per i territori dell’alto Jonio calabrese. Dall’1 giugno del 2020, accoglie con piacere ed entusiasmo l’invito dell’editore di guidare l’Eco Dello Jonio, prestigioso canale di informazione della Sibaritide, con una sfida: rigenerare con nuova linfa ed entusiasmo un prodotto editoriale già di per sé alto e importante, continuando a raccontare il territorio senza filtri e sempre dalla parte della gente.