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Senza Reddito la musica non cambia: anche quest’anno non si trovano braccianti agricoli

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CORIGLIANO-ROSSANO – Sarà una guerra. Anche quest’anno. Chi pensava che con la “sottrazione” del Reddito di cittadinanza agli impiegabili si risolvesse il problema della mancanza di manodopera, ha fatto i male i conti. Sicuramente non si è confrontato con una cultura, sempre più dilagante nelle nuove generazioni, che tende ad eliminare i lavori usuranti. E su tutti la figura del bracciante. Nessuno più vuole andare a raccogliere gli agrumi o le olive, perché considerato un lavoro umile, d’ultima fascia, nonostante sia pagato “bene” (si fa per dire) o comunque alla stregua di altri lavori altrettanto usuranti. Tutto questo mentre tra produttori e imprenditori agricoli la rabbia di qualche mese fa si sta trasformando lentamente in rassegnazione. Così si rischia l'implosione del comparto agricolo dei coltivatori diretti e delle piccole aziende (quello che rappresenta una delle forze trainante dell'economia verde).

«Io ho messo in vendita l’azienda» ci racconta seraficamente Paolo Lamenza, proprietario di un fondo dove produce olive, agrumi, frutta e dove mantiene in vita da quasi vent’anni un agriturismo. Lo confessa serenamente, nonostante questa per lui sia una ferita aperta, anzi lacerata. «Sono stanco e non ho voglia nemmeno più di combattere contro chi invece dovrebbe tutelare me e gli operai». Paolo si riferisce, ovviamente, allo Stato. Ancora incapace di trovare risposte concrete ad una situazione oggettivamente difficoltosa e ormai oltre ogni limite di tollerabilità.

«Anche quest’anno non trovo manodopera per raccogliere le olive e da impiegare nella prossima campagna agrumicola per le clementine. Niente. Non si trova nulla». Non ci sono italiani e «nemmeno stranieri che ormai sono cooptati dalle grandi cooperative». Perché se il bacino da cui attingere forza lavoro è lo stesso per tutti, è logico che a soccombere sono sempre i più piccoli.

Vogliamo capirci meglio, pensando che il problema possa essere – come spesso accade – il fattore economico, la remunerazione. Ma non è che per caso proponete ai lavoratori di lavorare alla fame? – chiediamo. E Paolo, con altrettanta calma, ci porta nel suo ufficio e apre il registro della contabilità; lo mostra senza problemi, insieme al contratto nazionale del lavoro dei braccianti agricoli. «La nostra offerta – dice - è a tariffa sindacale: 50 euro al giorno per 7 ore al giorno compresa un’ora di pausa, per sei giorni a settimana, oltre i contributi». A conti fatti sarebbero circa 1.200 euro al mese netti per il lavoratore e circa 1.700 euro che il datore di lavoro deve versare tra salario, tasse e orpelli vari. «Io non trovo nessuno a questo prezzo». E come me ci sono tanti altri piccoli e medi produttori che sono in totale difficoltà..

E se lo Stato sgravasse ancora di più il balzello di tasse e contributi così da aumentare il salario? Potrebbe essere una soluzione ma questo comprometterebbe, poi, tutto il sistema degli ammortizzatori sociali che ruota attorno al mondo agricolo che ha contratti stagionali che vanno da un minimo di 51 ad un massimo di 151 giornate di lavoro. E sono proprio gli ammortizzatori sociali a gravare come un macigno sulla spesa dello Stato.

Sembra una via senza uscita che non riguarda solo l’agricoltura ma che investe a pieno tutto il mondo dei lavori umili che nessuno (o forse pochissimi) vuole fare. C’è penuria di braccianti agricoli ma anche di badanti, di baby-sitter, di colf, governanti, camerieri, lavapiatti. Un problema è sicuramente il basso costo del lavoro. In un paese normale nessun salario dovrebbe essere al di sotto delle 10 euro a ora. Il salario minimo, quindi, potrebbe essere una soluzione. Che rischia, però, di equilibrare verso il basso il valore del lavoro. Poi c’è l’altro problema, che è di natura culturale. In una società votata all’esclusivo riscatto sociale di Verghiana memoria, moltissimi giovani preferiscono gli studi, abbandonando la terra e più in generale il mondo del lavoro. Una scelta rispettabilissima. Ma cosa ne sarà di un popolo di laureati che domani si siederà ad una tavola vuota?

Marco Lefosse
Autore: Marco Lefosse

Classe 1982, è schietto, Idealista e padre innamorato. Giornalista pubblicista dal 2011. Appena diciottenne scrive alcuni contributi sulla giovane destra calabrese per Linea e per i settimanali il Borghese e lo Stato. A gennaio del 2004 inizia a muovere i passi nei quotidiani regionali. Collabora con il Quotidiano della Calabria. Nel 2006 accoglie con entusiasmo l’invito dell’allora direttore de La Provincia, Genevieve Makaping, ad entrare nella squadra della redazione ionica. Nel 2008 scrive per Calabria Ora. Nell’aprile 2018 entra a far parte della redazione di LaC come corrispondente per i territori dell’alto Jonio calabrese. Dall’1 giugno del 2020, accoglie con piacere ed entusiasmo l’invito dell’editore di guidare l’Eco Dello Jonio, prestigioso canale di informazione della Sibaritide, con una sfida: rigenerare con nuova linfa ed entusiasmo un prodotto editoriale già di per sé alto e importante, continuando a raccontare il territorio senza filtri e sempre dalla parte della gente.