Le periferie moriranno senza mobilità e infrastrutture: dall’alto Jonio alla Sila greca il fermento dei territori
Da un lato la paura costante dei cittadini di rimanere isolati; dall’altro il timore di rimanere beffati da una grande infrastruttura. La parola a due figure agli antipodi: Baratta e Ciminelli, segnati da un eguale destino: l’isolamento

CORIGLIANO-ROSSANO – Da un lato la paura costante dei cittadini di rimanere da un momento all’altro isolati, nel caso eclatante della Valle del Trionto e della Sila Greca; dall’altro, invece, il timore, dei paesi dell’alto Jonio, di rimanere beffati da una grande infrastruttura che in un modo o nell’altro sta ipotecando un territorio senza restituire nulla in cambio. È questo il leitmotiv che sta animando da tempo le periferie della Sibaritide, li dove la piaga dello spopolamento, dei disagi, delle privazioni e dei disservizi rimane una costante, e che è stato al centro dell’ultima puntata dell’Eco in Diretta.
Le chiavi per venire fuori da questo impasse sono due: una mobilità efficiente, moderna, sicura; le infrastrutture, non solo quelle di grande interesse ma anche quelle a supporto del territorio.
Ne abbiamo parlato con due ospiti agli antipodi - in tutti i sensi - ma contermini, vicini e in condivisione per quel che riguarda i problemi: il segretario della Camera del lavoro della Cgil di Longobucco, Tonino Baratta, e l’ex sindaco di Amendolara Antonello Ciminelli. L’uno di sinistra e pasionario socialista; l’altro borghese e caparbio liberale.
Il 3 maggio scorso una piena del Trionto ha buttato giù il viadotto Ortiano. «Se dovesse presentarsi una nuova allerta meteo – dice Baratta - la strada si chiuderà, il che significa lasciare la popolazione isolata. E questo in una condizione in cui già tutte le strade che portano a Longobucco sono inibite al traffico». Il segretario della Camera del Lavoro fa poi una carrellata della viabilità mancata da e verso il paese: «La Stataole 177 che collega Longobucco con Camigliatello dal 5 maggio è stata interessata da una frana ed è chiusa al traffico; abbiamo un’altra viabilità inibita, anche questa, al traffico: quella del Macrocioli; l’altra strada che abbiamo di accesso a Longobucco è il vecchio tracciato della 177; ma anche questa è bloccata».
Nell’alto Ionio, tra Trebisacce e Roseto Capo Spulico, la strada c’è ed è una delle arterie che garantiscono buona parte dell’economia calabrese e dell’intero Meridione. Un’altra si sta realizzando: più moderna, veloce ed europea e che vedrà la luce entro il 2026. Li i sindaci stanno sollevando da tempo la questione delle opere compensative, ossia quelle opere che lo Stato dovrebbe realizzare per mitigare i danni che un’opera pubblica arreca al territorio. Ed è lì che Ciminelli insiste: «Sono 8 i comuni interessati dal passaggio del Terzo Megalotto; anziché ricevere delle somme di compensazione, i comuni coinvolti dovranno scegliere delle opere da realizzare, che saranno valutate dal Ministero dell’Ambiente per la loro compatibilità». Sulla scelta delle opere è nata una discussione: chi ha proposto la creazione di una nuova Chiesa, chi il lungomare. Anas ha risposto che le opere proposte, almeno in parte, non sono compatibili a livello di compensazione ambientale. Tant’è che la questione sembra destinata a rimanere aperta. Secondo Ciminelli «le posizioni rimangono cristallizzate perché i Comuni vogliono ciò che gli spetta a livello di opere compensative».
Il rischio concreto, però, è che i soldi per le opere compensative basteranno a malapena per la demolizione del viadotto Pagliara (attuale viadotto della 106 che attraversa il centro di Trebisacce), come simbolo di compensazione. «La demolizione del Pagliara – questo è quello di cui è convinto Ciminelli - deve essere tolta dalle opere di compensazione perché altrimenti non si comprende ciò che si è fatto nell’ultimo decennio: dopo aver diviso i soldi tra i comuni, sarebbe inopportuno decidere che i fondi delle opere compensative debbano essere usati integralmente per la demolizione della strada».