Caro prezzi, l’inflazione e il carrello tricolore: funziona davvero?
Nella Sibaritide l’iniziativa sembra non sortire alcun effetto positivo. Per Chiarello «serve maggiore liquidità e certezza nel futuro» mentre la Coldiretti di Fonsi punta sui prodotti locali. Ne abbiamo parlato all'Eco in Diretta
CORIGLIANO-ROSSANO – Il carrello tricolore, sicuramente molto evocativo nel nome, rischia di essere uno strumento più propagandistico che efficace. L’idea è quella di chiedere alla grande distribuzione e ai dettaglianti del settore uno sforzo per evitare l’innalzamento dei prezzi dei generi alimentari di maggior consumo nell’ultimo trimestre dell’anno. Ma spingere la mano solo sull’ultimo anello della catena non è abbastanza per Chiarello: «Lo Stato dovrebbe intervenire sui costi che determinano l’aumento dei generi alimentari, e dunque sull’energia, il carburante e le spese per servizi e abitazioni». Così lo strumento non sta realmente funzionando perché «riguarda soprattutto la grande distribuzione che aveva già deciso la politica commerciale illo tempore». Proprio contro il carovita la Coldiretti ha provato nel tempo a spingere sul consumo dei prodotti a km zero: «Saltando alcuni passaggi, si può abbassare il prezzo dei generi alimentari» stando alla posizione di Antonello Fonsi.
Declinazioni e concetti di una trovata d’impatto per arginare l’inflazione nel perimetro della Sibaritide, sono stati affrontati nell’ultima puntata dell’Eco in Diretta andata in onda ieri sera e alla quale, rispondendo alle domande di Marco Lefosse, sono intervenuti il presidente di Acom Corigliano-Rossano, Natalino Chiarello, e il presidente del Coldiretti Rossano, Antonello Fonsi.
Più che un monitoraggio dell’inflazione la necessità reale è quella di aumentare la liquidità, altrimenti il carrello tricolore risulta essere fine a se stesso: «servono più soldi nelle tasche dei cittadini e questo è possibile attraverso la riforma del sistema fiscale e l’adeguamento agli indici Istat dei salari» sono le soluzioni che suggerisce Chiarello.
A proposito di rialzo dei prezzi, c’è da considerare in aggiunta la siccità che va avanti dall’inizio dell’estate. I prezzi rischiano, così, di aumentare per quanto riguarda le colture del periodo autunno-inverno, e questo «vale anche per la produzione olivicola e per quella delle clementine» rimarca Fonsi.
Se si considerano le situazioni straordinarie come il Covid, la guerra, la crisi di produzione e quella climatica è facile comprendere la salita dei prezzi a cui stiamo assistendo e che grava sulle spalle dei cittadini. E proprio l’incertezza causata da questi eventi «si trasforma in crisi dei consumi per gli imprenditori» per Chiarello. Purtroppo poi alle sicurezze date dal territorio calabrese, copioso in risorse, fa da contraltare la titubanza delle amministrazioni locali. Una soluzione è quella di tornare a programmare l’economia dei territori: solo in questo modo ci può essere quella «certezza del futuro» tanto cara all’imprenditoria e rilevante per la crescita dei consumi. In questo senso il PNRR potrebbe dare un’opportunità determinante alla Regione. Occhiuto, a riguardo, dice che il 90% dei fondi comunitari saranno spesi, cosa più che positiva visto che solitamente ne viene mandata indietro una grossa fetta. È necessario però «sburocratizzare e mettere insieme due pilastri dell’economia calabrese: il turismo e l’agricoltura» per Fonsi e «valorizzare i prodotti locali». Ma Chiarello aggiunge un’esigenza non del tutto scontata, ossia «l’importanza di non essere faziosi e di saper valutare le proposte efficaci», che nel nostro territorio troppe poche volte sono state prese in considerazione.