Il 4 novembre è la festa degli italiani ma che significato ha nel nostro territorio?
Salvatore Arena, giornalista e scrittore, ci racconta il senso di una giornata, quella dell'Unità nazionale, vista con gli occhi di un cittadino della Sibaritide: ricordi e uomini; le trincee, i lager e la figura di Luigi Algieri
CORIGLIANO-ROSSANO - “Finchè i vivi non renderanno onore alla memoria di chi è caduto sui campi di battaglia, nel mondo non potrà esserci un’autentica comprensione reciproca”. E’ una delle scritte scolpita sul marmo del monumento ai caduti che si trova in piazza Vittorio Veneto a Corigliano Centro. Monumento che questa mattina nel corso della cerimonia del 4 novembre ha visto la deposizione, da parte delle Autorità civili, militari e religiose della corona d’alloro. In una ricorrenza così particolare e sentita per l’intera nazione italiana, abbiamo voluto chiedere al prof Salvatore Arena, giornalista e scrittore, quale significato assume il 4 novembre per i coriglianesi e per i cittadini di questo territorio, tenuto conto che il nostro interlocutore è autore del volume “Il sacrificio e l’eroismo dei Coriglianesi nelle due Guerre mondiali” edito dalla casa editrice Aurora.
«Nei tempi andati – ci dice Arena – ho conosciuto molti reduci e combattenti coriglianesi, mutilati e invalidi che or non sono più. Ho conosciuto anche i più fortunati: quelli che, comunque, erano ritornati a casa senza ferite. Li trovavo in prima linea durante le celebrazioni del 4 novembre attorno alla Bandiera e ai labari delle rispettive associazioni. In quei momenti – racconta ancora l’autore del volume – si vedeva che il loro pensiero era rivolto altrove: alle trincee, al freddo, alla paura, ai sacrifici, al tuonare dei cannoni, ai compagni morti accanto a loro, ai vari assalti alla baionetta. Lì, sull’attenti, li vedevo come i veri testimoni di quel grande dramma umano che è la guerra. Ma non solo testimoni. Erano stati i protagonisti di vicende più grandi di loro: avevano contribuito – afferma Arena – a difendere, nel bene e nel male, i confini della Patria. E per virtù loro sia nella prima che nella Seconda Guerra la Nazione ha conosciuto innegabili risvolti politici positivi, nuovi impulsi economici e segnali di civiltà. Le cerimonie del 4 novembre – aggiunge Salvatore Arena – si ripetono, ma quei volti non li vedo più. Pian piano se ne sono andati. Le file si assottigliano di giorno in giorno. Ecco perché ho voluto portare a compimento il mio libro sui caduti coriglianesi nelle due guerre, quasi con caparbietà, al fine precipuo di dare un contributo alla memoria. I nomi di queste persone costituiscono un patrimonio che non può essere dimenticato».
Tra questi vogliamo ricordare Luigi Algieri, soldato della nostra Patria ma soprattutto sopravvissuto ai campi di sterminio di Auschwitz e Bocum, scomparso tre anni fa. Anche sulla figura di Algieri, Salvatore Arena, ha scritto un libro raccontando la sua storia "Luigi Algieri, uscito vivo dal lager nazisti”.
Chiediamo ad Arena di parlarci di Algieri: Medaglia d’Onore, Benemerito della sezione Carabinieri in congedo di Corigliano, dopo anni di silenzio, mi ha raccontato la tragedia da lui vissuta, allorché nella Seconda Guerra Mondiale fu chiamato alle armi per finire poi nei peggiori lager nazisti ad Auschwitz e a Bocum. Quante violenze ha dovuto subire – prosegue Arena - per aver servito la Patria in armi. Quante cose brutte ha visto: le camere a gas, le fucilazioni, le uccisioni dei bambini strappati alle mamme. Ed al suo ritorno a Corigliano per molti anni non si è potuto parlare di quanto lui e gli altri avevano sofferto. Sì, perché abbiamo vissuto un certo periodo in cui la storia ci impediva di ricordare l’Olocausto. Poi, venne il momento di raccontare il passato e lui, ha capito che bisognava mettersi al servizio della società e dei giovani spiegando le irripetibile brutture patite e mettendoli in guardia da avventure politiche del genere. Ha combattuto in Grecia e, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, i tedeschi lo hanno costretto, insieme ai suoi compagni a deporre le armi con la promessa, risultata falsa, che li avrebbero mandati in Italia. Invece – racconta ancora Arena - li stiparono in carri bestiame senza mangiare e senza bere e dopo due giorni e due notti di viaggio si trovarono davanti ai cancelli di quello che io definisco il più grande campo di sterminio di tutti i tempi. I morti – conclude Salvatore Arena – non appartengono solo alle famiglie ma a noi tutti. Perciò a noi rimane un debito che può essere onorato soltanto con il rispetto e con la perseveranza nella memoria».
Il tributo di morti e dispersi che la Città di Corigliano ha pagato nei due conflitti mondiali è stato alto. Come ci dice il prof Arena nel più volte citato libro nel corso della prima guerra mondiale i morti e dispersi in guerra coriglianesi furono 196, mentre nel secondo conflitto bellico questo numero fu di 93.