«La pesca a Schiavonea non morirà. È la volontà di Dio che non lo permetterà»
Il messaggio struggente di Mario Martilotti, esponente di una delle famiglie storiche di pescatori, che interpreta perfettamente il dilagante senso di smarrimento nella gente di mare, dovuto alla mancanza di condivisione e consapevolezza
SCHIAVONEA (CO-RO) - Dove non c'è certezza ci sono disagio e paure, giuste e condivisibili. Nel borgo marinaro di Schiavonea, le acque del cambiamento si agitano, portando con sé una marea di incertezze e nuove sfide che invece di rappresentare una speranza vengono percepite come una minaccia che rischia di stravolgere l'anima stessa di questa comunità. Ed è così che persone assennate come Mario Martilotti, «figlio della gente di mare di Schiavonea», sollevano un grido di dolore che, come si leggeva stamani nel corsivo del direttore dell'Eco, diventa involontariamente un appello appassionato alla consapevolezza. Perché il cambiamento spaventa e richiama alla «resistenza» contro il destino che incombe sul porto.
È dolce e struggente il grido che Mario lancia dalla sua Schiavonea. Ed è condivisibile fino a quando tutti non sapranno concretamente verso che direzione stiamo andando. «Il porto e i tanti sacrifici della gente di mare di Schiavonea - scrive Martilotti in un recente post sul suo profilo social - hanno permesso di mantenere viva e fortemente legata alle sue radici questa nostra comunità. Pur considerando la forte emigrazione, la pesca e tutto il settore pesca sono stati determinanti nel dare vitalità sociale ed economica a Schiavonea. Con il tempo siamo riusciti anche ad imprimere un forte sviluppo nelle attività del settore turistico con la buona volontà di molti».
Ed è lo stesso Mario Martilotti a dare una "lezione di stile" alla politica «pronta alla sua rivincita» che coinvolge «i nostri rappresentanti», le sigle sindacali, i poteri forti e «tutti coloro che oggi sono i grandi salvatori di questo nostro bellissimo e tanto martoriato territorio».
Poi il raccordo sulle nuove dinamiche attuali e stringenti che riguardano il porto e il progetto di Bake Hughes. «Tante persone di Schiavonea - dice - sono contrarie a questo scempio, ma non hanno abbastanza strumenti, anche culturali, né forza di spirito per affermarlo e sostenerlo».
E lo sconforto dello smarrimento trova ancoraggio e forza nell'identità. Proprio come Odisseo che nelle mille peripezie del suo viaggio di ritorno verso Itaca, nella disperazione, si rifugiava nel costante pensiero della famiglia, delle radici. E così fa anche Mario. «Faccio parte - scrive - di una famiglia che ha visto nascere questa nostra comunità. Mio padre aveva già il peschereccio prima ancora della realizzazione del porto. La mia famiglia non ha subito il "dramma" dell'emigrazione, tanto ci ha dato la pesca, il mare, il porto. La mia grandissima e meravigliosa mamma di 87 anni, la prima donna ad avere la titolarità di un'impresa di pesca, mi ha raccontato che Schiavonea è nata per volontà di Cristo, perché doveva far nascere un popolo di pescatori. Le ho raccontato che il nostro porto sta per essere "ceduto" ad una multinazionale americana. Mi ha guardado con due grandi occhioni e mi ha detto: "La pesca non può e non deve morire a Schiavonea. È la volontà di Dio che non lo permetterà". Silenziosamente ho "cercato" di pensare se effettivamente sarà proprio Dio a decidere il tutto».