Le opportunità della ZES passano inevitabilmente dal Porto che... deve diventare industriale
Al netto del piano di Nuovo Pignone, mettere a sistema le misure della Zona economica speciale significa ragionare sui grandi numeri (e sui loro compromessi): tutto, dal turismo all'agricoltura, deve avere una produzione industriale
CORIGLIANO-ROSSANO – La Zona economica speciale (ZES) unica è l’unica e ultima via d’uscita per innescare il processo virtuoso della produzione e della crescita nella Calabria del nord-est. Per poter sperare di avere nuove misure straordinarie ci vorranno – forse – altri 50 anni. Ecco perché, avviare ora e subito il processo, per trovarsi subito competitivi a Corigliano-Rossano e nell’intera Sibaritide occorre destarsi dal torpore.
Lo scriveva sabato, nel suo corsivo, il direttore dell’Eco dello Jonio, Marco Lefosse: «Nel nostro territorio i bambini nascono già con la valigia in mano, pronti ad andare via». E questo perché qui manca una prospettiva, di ogni genere. Va da sé che i principali asset per lo sviluppo della ZES nel nord-est sono due: le aree industriali e commerciali di Corigliano-Rossano (ex area Enel Cutura, zona Asi di Sant’Irene e area industriale di Torricella) e poi il Porto.
A proposito di Porto, ormai è assodato che se Corigliano-Rossano vuole davvero diventare il traino del territorio e vuole innescare un nuovo processo di sviluppo deve partire da un principio: la grande darsena di Torricella non può rimanere inattiva e ferma alla sua condizione attuale di quasi totale inattività e abusivismo in cui è stata relegata negli ultimi 50 anni. E questo ragionamento va a prescindere dal piano industriale presentato da Nuovo Pignone Baker Hughes.
«Il successo della Zes unica è connesso ad un sistema integrato di aree portuali, retroportuali e industriali, che miri a coordinare le politiche infrastrutturali in una più ampia strategia di sviluppo del Mezzogiorno» . Che la Zona speciale possa diventare uno strumento chiave lo ha affermato nei giorni scorsi anche il governatore di Bankitalia Fabio Panetta quando, da un meeting a Catania, ha sottolineato come il Sud Italia «rispetto alle destinazioni tradizionali della delocalizzazione produttiva» è collocato «in prossimità dei maggiori centri economici europei e al crocevia del Mediterraneo». Ed è dotato «di una forza lavoro sottoutilizzata e di poli scientifici di qualità» oltre a rappresentare «un mercato di sbocco con 20 milioni di abitanti». Alla Zes unica – aggiunge Gazzetta del Sud - il gravoso compito di sovvertire questa narrativa. Come? In 180 pagine lo schema di Piano strategico mostra i percorsi possibili: fiscalità di vantaggio, semplificazione amministrativa, Zone franche doganali, ma pure il potenziamento delle filiere e l’interconnessione dell’intera area, sia fisica che digitale. Insomma, strumenti e servizi che potrebbero ribaltare completamente lo status quo di una vasta area produttiva, quella coriglianorossanese che è un’eccellenza per la Calabria pur arrancando su un impianto di servizi vecchio di oltre mezzo secolo (basti pensare che nella zona Asi di Rossano non c’è ancora non arriva la banda larga!)
Il Porto, dunque, rappresenta la chiave di volta per intercettare in quest’area della Calabria (che è in concorrenza con tutte le altre, a partire da Crotone per finire a Gioia Tauro) il canale degli interessi euromediterranei. Al netto di quello che sarà (se sarà) il progetto a bordo banchina presentato da BH, bisogna entrare nell’ottica che non può esistere più un porto, di quelle dimensioni, votato esclusivamente alla pesca o al turismo. Non basta. Nel porto di Corigliano-Rossano, per invertire la tendenza di crescita e di sviluppo e per sfruttare i benefici della ZES, dovrà entrare anche l’industria. Non c’è altra via o soluzione
Entrare nella “rivoluzione ZES” significa entrare in una in uno scenario globale in cui il Sud si trova proprio nel suo cuore. Le «nuove opportunità di sviluppo – si evidenzia nelle 180 pagine di cui è composto il Documento Strategico sulle Zone economiche speciali – richiederanno azioni coordinate per rafforzare il settore produttivo, adeguare la dotazione infrastrutturale e rendere l’area attraente per nuovi investimenti». Le filiere sulle quali puntare sono nove: Agroalimentare e agroindustria; turismo; elettronica e Ict; automotive; made in Italy di qualità; chimica e farmaceutica; navale e cantieristica; aerospazio; ferroviario.
La Calabria – ricorda GdS - presenta luci e ombre, anche in quei settori che dovrebbero vederla competitiva. Pensare ad un porto di Corigliano-Rossano vocato all’agroalimentare e all’agroindustria significa inquadrarlo non solo in quella che è la dimensione agricola, olivicola e agrumicola della Piana di Sibari che, da sola, non reggerebbe lo sviluppo di un piano ZES. Basti pensare che una nave mercantile di grandi dimensioni, trasporta fino a 20mila TEU (circa 660 mila metricubi) che tradotto, per grandi numeri e senza considerare la deperibilità del prodotto, i costi di trasporto e il fatto che non tutte le derrate alimentari possono essere trasportate via nave, significa che con soli tre carichi si potrebbero portare via tutti gli agrumi prodotti in un anno in Calabria (che ha una produzione agrumicola di quasi 2 milioni di metri cubi l’anno).
Quindi pensare ad una piattaforma agroalimentare nel porto significa pensare ad una vera e propria industria agricola che faccia diventare Corigliano-Rossano il centro di raccolta di tutta la produzione votata all’export nell’arco geografico di 200km, con tutti gli annessi e i connessi, compreso l’inquinamento atmosferico per i trasporti su gomma. Uguale discorso vale per il turismo che, comunque, per essere competitivo deve diventare turismo industriale, quindi dei grandi numeri. E l’impatto ambientale del turismo crocieristico lo conosciamo tutti.
Ma al netto di tutte le vocazioni che si vogliano dare al Porto di Corigliano-Rossano, sempre che lo si voglia inquadrare in un piano di sviluppo che generi economia, occupazione e nuovo benessere (altrimenti può continuare a vivere così!), questa infrastruttura strategica, prima di ogni cosa, dovrà essere ben connessa con il sistema viario, aeroportuale e ferroviario. Quindi, nel considerare da subito ad una diramazione ferroviaria verso il porto, non si può pensare che una nuova strada a quattro corsie transiti lontano dallo scalo portuale o peggio a monte dei centri abitati. Perché in questo caso, questa arteria stradale non avrebbe alcuna funziona economica/commerciale ma soprattutto il porto continuerebbe a rimanere isolato dal grande anello dei trasporti.
Insomma, senza connessioni non ci potrebbe essere sviluppo. Ecco, queste sono le cose di cui bisognerebbe occuparsi, già da oggi, affrontando la questione con estrema urgenza perché altri territori sono già a lavoro per non perdere – lo dicevamo – l’ultimo treno dello sviluppo che sta passando proprio in questi mesi.