di MATTEO LAURIA La notte dei lunghi coltelli. Cade la
giunta Antoniotti tra tradimenti, patti, accordi non mantenuti. Tutto precipita nel giro di poche ore, anche se la sfiducia era nell’aria. Ad accelerare le procedure un colpo basso sui social: destinatario il consigliere regionale
Giuseppe Graziano, colui il quale punta sul rinnovamento della politica e su un candidato di superamento. Sette sono i consiglieri di maggioranza tanti quanti bastano per raggiungere il quorum necessario allo scioglimento anticipato. Poi l’accordo con i sei della minoranza e il gioco è presto fatto: Antoniotti a casa, a pochi mesi dal rinnovo degli organismi elettivi. Quello che conta in politica è la logica dei numeri, vestita di democrazia. L’obiettivo dei dimissionari era forse quello di togliere un potere da gestire sotto il periodo elettorale: la macchina comunale. Antoniotti, d’altronde, ha dichiarato a chiare note che sarebbe stato della partita con o senza
Forza Italia, con o senza il centrodestra. L’ok dall’Udc lo incassa, un paio di liste civiche e il cerchio si chiude. Questa esposizione mette in allarme i dissidenti del centrodestra che non perdono tempo a stringere un accordo bipartisan con il centrosinistra su un punto fondamentale: sottrarre un apparato che spesso si trasforma in macchina del consenso, la gestione dell’ente. E’ questa la ratio dell’accordo che sottende le 13 firme depositate nelle ultime ore davanti a un Notaio e protocollate in Comune. Le ragioni politiche ovviamente dicono altro: città che non cresce ma arretra, scarsa lungimiranza, niente occasioni di sviluppo, territorio depredato di uffici e servizi, mancanza di autorevolezza, assenza di prospettive, clientelismo, favoritismi, etc.etc. Dall’altra Antoniotti, che urla all’infamia e al complotto. L’oramai ex sindaco si sarebbe aspettato un confronto almeno in consiglio comunale, organo deputato ad affrontare una crisi politica. Invece si glissa e di getto si ricorre a un Notaio. Vince dunque la politica emotiva, del botta e risposta, delle reazioni, dell’affronto. Con Antoniotti si schierano in tanti, la piazza popolare è quella virtuale di Facebook dove si accende un tam tam. Con lui anche i
precari ex Lsu/Lpu che temono l’arrivo di un commissario ed elogiano il sindaco per essere stato sempre vicino alle rivendicazioni dei lavoratori. Dietro questa crisi si nasconde un vespaio di motivazioni, talune anche di basso di profilo. Gli interessi non mancano e ognuno pensa ai propri, quasi fosse una giungla abitata da affamati e avidi di potere. Né si decelera. La corsa al potere è brutta cosa. Il paradosso è che ognuno dei protagonisti ammette: “oggi sono tempi duri, è impossibile amministrare!”. Allo stesso tempo si è disposti a tutto pur di entrare in quel Palazzo. E mentre da un lato si antepone l’IO a tutti i costi dall’altro si perde di vista l’interesse della collettività, di quella parte sana che nutre aspettative da un’amministrazione politica in carica e che d’un tratto si vede costretta a dover dialogare con un interlocutore di Stato con il quale spesso si instaura un rapporto freddo, di equidistanza, di incertezza. Per i dissidenti invece, a pochi mesi da una competizione elettorale, il commissariamento è più una garanzia che altro. Rossano è indubbio vive un momento difficile, è una città in ginocchio. Le responsabilità sono prevalentemente di Stato, ma chi ha patrocinato l’atto di sfiducia vede anche in Antoniotti una figura inadeguata a esercitare il ruolo di sindaco. Si moltiplicano le analisi sul perché Rossano sarà destinataria di un commissariamento, organismo che supplisce fino alle prossime amministrative di primavera alle funzioni del sindaco e del consiglio comunale. Tuttavia, dietro l’attuale crisi c’è anche dell’altro. Che di politico ha ben poco. Per meglio comprendere occorre partire però da molto lontano. Ai rapporti solidali tra l’ormai ex sindaco Giuseppe Antoniotti e il suo ex mentore
Giuseppe Caputo. Tra i due, da qualche anno, i rapporti si sono incrinati. Sullo sfondo una presunta invasione di campo da parte di chi ha creato la destra Rossano ed ha aperto a una nuova classe dirigente. A Caputo che ha governato per due consiliature, seguono Orazio Longo e poi per l’appunto Antoniotti. Con entrambi s’innesca un meccanismo competitivo negativo: il problema per i successori è dimostrare indipendenza nelle decisioni e autonomia nella gestione. Insomma l’idea di un “Caputo ombra” si trasforma talvolta in ossessione politica. Ecco dunque lo strappo, che si esplicita con fatti precisi, avversioni, decisioni non condivise. E’ invisa l’idea che i cittadini continuino a riconoscere in Caputo il principale interlocutore nonostante la sindacatura sia retta da altri. In effetti tali situazioni possono innescare sentimenti antipatici e fastidiosi. Che potevano essere superati se fosse prevalso il gioco di squadra. E d’altronde Longo prima e Antoniotti poi conoscono la personalità di chi comunque ha dato inizio a Rossano alla destra di governo. Si trattava di decidere se condividere un percorso da sindaco con una figura carismatica alle spalle oppure opporsi e rinunziare a priori. Si è optato per l’esperienza da primo cittadino. Poi le fughe in avanti, la competizione, gli strappi, che hanno dato origine a conflitti sfociati in alcuni casi in degenerazioni