di SERAFINO CARUSO Lo abbiamo scritto nei giorni scorsi, ma lo vogliamo ribadire: contro la
disoccupazione si faccia subito qualcosa. Con i fatti. Ché di parole ne abbiamo sentite e lette fin troppe, in questi ultimi anni. Il problema, com'è ovvio, non è localistico. Si tratta di una
congiuntura economica negativa di livello internazionale. Globalizzazione e eccessiva tecnologicizzazione hanno impoverito il sistema. E non soltanto da un punto di vista economico. La società è più povera anche di valori. Soprattutto i giovani, ammorbati dagli ultimi sistemi informatici, sembrano aver perso il contatto con la realtà. Spesso il lavoro manco lo cercano. Il dato è preoccupante. Siamo bombardati quotidinamente da statistiche che ci dicono tutto e il contrario di tutto. Ma la realtà, soprattutto nella nostra amata terra di Calabria, dice che siamo in una fase di recessione economica forse senza precedenti.
CREARE LAVORO. MA COME? E CHI DEVE FARLO?
Quante volte ci imbattiamo in argomentazioni del genere. Quotidianamente, direi. Chi non si trova a discutere dei
problemi di lavoro che stanno affliggendo soprattutto questa parte della Calabria, la Sibaritide? Terra da dove i giovani scappano. Chi per l'Università, chi per un lavoro. A questi si uniscono, e sono in costante aumento, i meno giovani. I 40enni e 50enni. Magari sposati e con figli. Che ormai scelgono nemmeno più il Nord Italia, quanto Paesi come Germania, Inghilterra, Francia o Spagna. Certo, è dura lasciare questa terra a 50 anni suonati. Ma se si è costretti a farlo per assicurare a se stessi e ai propri figli un futuro migliore, lo si fa. A malincuore, ma lo si fa. Questa terra grida dolore e reclama lavoro. Quel
diritto al lavoro garantito finanche dalla
Costituzione. Avesse cambiato quella dicitura, la riforma Renzi, forse avrebbe vinto il "Si" lo scorso dicembre... Il lavoro che non c'è, quindi. Parola tanto decantata quanto abusata. Da
politici e sindacalisti, soprattutto. Che, rispettivamente, con le loro false riforme e quei soliti convegnoni dai soliti titoli ("sviluppo", "volano", "infrastrutture", ecc. ecc. ecc.) contribuiscono ad alimentare quel senso di sfiducia nei cittadini verso Istituzioni e il concetto di speranza. Chi crea lavoro, da sempre, sono gli imprenditori. Gli artigiani. Le piccole, medie e grandi imprese. La politica dovrebbe creare, invece, le condizioni affinché
la classe imprenditoriale sia incentivata a creare posti di lavoro. Invece sta accadendo l'esatto contrario.
PERCHE' TUTTO QUESTO? LA COLPA E' ANCHE DEI CALABRESI
Perché? Il discorso sarebbe lungo, ma cerchiamo di sintetizzarlo. La politica pensa a se stessa. Alimentando il
clientelismo e tenendo sotto schiaffo i cittadini bisognosi. Di questo ha bisogno, la nostra malata politica. Che insieme a una burocrazia spesso dannosa, oltre che farraginosa, sta annientando le speranze di quei calabresi che vorrebbero restare in questa bellissima terra. Ma non possono farlo. Certo, anche noi cittadini abbiamo la nostra bella dose di responsabilità. Non ce lo nascondiamo. Al momento cruciale del voto si dovrebbero premiare quei rappresentanti degni del popolo. Intelletualmente e moralmente onesti. Invece ci ritroviamo, come sempre, con i soliti carrozzoni politici. A qualsiasi livello. Tranne qualche timido esempio di
reale volontà di cambiamento, la Calabria e i suoi Comuni continuano a essere gestiti in pessimo modo dai soliti pessimi politici.
LA POLITICA E LE FORZE SOCIALI AIUTINO L'IMPRENDITORIA A CREARE LAVORO E RICCHEZZA
Questo dovrebbero fare,
politica e forze sindacali e di categoria:
sostenere la buona imprenditoria. Invece qui capita il contrario. L'esatto contrario. L'imprenditore viene lasciato solo. Con i suoi dipendenti e le tasse da pagare. Contributi e tributi. Guardati con
invidia e cattiveria, quei pochi veri imprenditori ancora rimasti soprattutto nell'area della Sibaritide sono lasciati soli al proprio destino. Non una politica di sostegno in loro favore. Non un vero tavolo di discussione e lavoro. Eppure, come già dicevamo, se quest'area si ritrova ad avere ancora la nomea di territorio "ricco", lo si deve solo a quei pochi imprenditori capaci di creare posti di lavoro. Persone che hanno creato interi quartieri a Rossano: con strade, negozi, edifici decorosi e spazi di socializzazione e aggregazione. Il risultato? Critiche, cattiverie e invidie. E i posti di lavoro creati? Anche in agricoltura e altri settori? Pensate se a Corigliano e Rossano non ci fossero stati gli
imprenditori agricoli, i produttori di clementine. O quei costruttori lungimiranti che hanno cambiato, in meglio l'urbanistica di una città. Grazie anche, vi è da riconoscerlo, a una classe politica di qualche anno fa che intuì l'importanza di un vero sviluppo urbano. Sotto questo aspetto già tra Corigliano e Rossano vi sono enormi differenze. Pensate, ad esempio, se in zona non ci fosse stata quella grande azienda del settore rifiuti quale è
Ecoross. O tutte quelle che operano nell'
edilizia. O ancora la famosa fabbrica di liquirizia
Amarelli. E altre aziende importanti in altri settori. Si rifletta su questo, prima di parlare. E la politica ritorni a essere guida ed esempio di coordinazione.
I nostri imprenditori vanno aiutati. Vanno incoraggiati e sostenuti. Ché se chiudono anche loro, da qui, prima o poi, tocca andarcene tutti. Senza sconti per nessuno. Si punti, ma davvero, sul turismo. Sulla cultura, con il Codex Purpureus Rossanensis e i Parchi archeologici di Sibari, Castiglione, Francavilla e Broglio di Trebisacce. Sui castelli. Sulla montagna. Insomma, ce n'è di materia su cui lavorare. Anche incentivando la formazione di cooperative per la gestione dei servizi in questi settori. E allora, statene certi: riavremo la ferrovia con i treni, i collegamenti infrastrutturali, i presìdi dello Stato. Ma la politica deve fare il suo. Ognuno deve fare la sua parte.