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Amabili nel conversare? Il galateo ci ricorda come

4 minuti di lettura

Ci fermiamo per due chiacchiere?

Ombrellone, pizza o aperitivo che sia, l’estate è la stagione in cui ritrovarsi a parlare -ritmi e toni distesi- con parenti, amici, o anche solo vicini di spiaggia.

Conversare. Che meraviglia! Arte raffinatissima e tutta umana: parole, gestualità, sguardi, pensieri e punti di vista si avvicendano e si confrontano, sublimando la nostra essenza.

Leggera o profonda che sia, da salotto o da piazza, ogni conversazione è -o può essere-  vero e proprio tempio di un umanesimo sempre vivo, cui, proprio in quel secolo di splendori italiani che fu il Cinquecento, venne dedicata un’opera che ne segnò forme, confini e modalità.

Se non mancarono esempi in epoche precedenti né successive (Montaigne su tutti!), fu infatti messer Giovanni della Casa, per primo, sotto le vesti d’un vecchio che ammaestra un suo giovanetto, ad elevare la materia ad oggetto di un trattato di comportamento ideale, in cui ragionò dei modi, che si debbono o tenere, o schifare nella comune conversazione. Il trattato, cognominato Galatheo overo de costumi, è a tutti noto, sinteticamente e da allora per antonomasia, come Galateo, per derivazione dal nome latino del vescovo  Galeazzo Florimonte, molto apprezzato per i suoi modi cortesi e amico dell’autore, che a lui l’opera dedicò.

Divenuta presto un classico, echi, citazioni e precetti li ritroviamo spesso intorno a noi, anche se tante norme di buon senso ed educazione le abbiamo colpevolmente archiviate nelle soffitte delle cose inutili e demodé. Possiamo apprezzarli o meno, riderne o contestarli, ma i consigli del buon sacerdote cinquecentesco meritano una rinnovata attenzione, specie da parte di quei giovani che li ignorano in toto e che, nell’assenza delle regole classiche di comportamento, messe al bando da genitori eredi del ‘68, se ne sono autonomamente costruite altre, meno ufficiali; non tutte sane.

Ogni comunità ha bisogno di ancorarsi a codici comuni. E il Galateo, a volerlo leggere, prima che bon ton ed etichetta, è pieno di valori sociali e umani.

Mi fermo sull’arte del conversare, riservandomi di tornare su altri aspetti in seguito.

La preoccupazione principale dell’autore è che ciascuno si senta a suo agio. Rivoluzionario è il suo aver sottratto la materia al solo uso dei nobili salotti e rivolto le cure anche al confronto tra persone di condizioni socio-economiche differenti.

Ecco che, tra le prime note, ricorda di non fare mai sfoggio di gioielli e ricchezze né  ostentare abiti lussuosi e altre forme di superiorità economica. Non è elegante per principi estetici, ma prima ancora perché a' poveri pare di ricevere oltraggio. Per evitare questa offesa, in molte città -e delle migliori- non si permette per le leggi che il ricco possa gran fatto andare più splendidamente vestito che il povero.

Tema di profonda attualità e verità in società democratiche solo sulla carta. Formalismo o valore?

Anche nelle conversazioni comuni, che devono essere sempre amabili, distese e armoniose, non si accentuino le differenze e non si crei disagio ai meno attrezzati. Vi siano spazio, tempo e coinvolgimento per tutti. Nessuno escluso. L’argomento sia pertanto sempre accessibile, di interesse generale e trattato con semplicità. Non si dèe pigliar tema molto sottile né troppo isquisito, perciò che con fatica s'intende dai più. Essenziale è che niuno della brigata ne arrossisca o ne riceva onta.

Non si prenda se stessi e la propria vita come tema della conversazione: dèe di sé ciascuno, quanto può, tacere, o, se proprio costretto, dirne dimessamente.  Non si elogino i propri familiari, a scongiurare noia e disagio altrui. Non si citino mille nomi d’altri, ai più sconosciuti, solo per fregiarsene.

Equilibrio e rispetto i principi guida.

Fastidiosissimo e sgradevole prevaricare tenendo sempre la parola, ma anche tacere o dir troppo poco è cosa assai sgarbata, perché come il soverchio dire reca fastidio, così reca il soverchio tacere odio: […] il favellare è un aprir l'animo tuo a chi t'ode, e sottrarsi alla conversazione sembrerebbe un volersi mantenere estraneo.

Dopo i vanitosi e i superbi, sono i tuttologi di tutti i tempi ad esser censurati con la diplomazia ellittica dell’ironico autore: non so io indovinare donde ciò proceda, che chi meno sa più ragioni; ma da questa pessima abitudine conviene che gli uomini costumati si guardino.

Nelle comuni fatiche e sofferenze del vivere, è poi davvero importante regalare gioia e diletto nel conversare; sempre. Sicché conviensi fuggire di favellare di cose maninconose, di tragedie, guai, pericoli, o sofferenze proprie o altrui. Il Galateo mette al bando lamenti, pessimismo e pastoie ansiogene. La conversazione dev’essere sempre frutto di piacevolezza e diletto. Benedetti gli interlocutori piacevoli e beffardi e sollazzevoli!

Ben venga il motto di spirito leggiadro e sottile, e anche il beffare per amichevol modo risulta amabile; purché nessuno sia offeso o preso a dileggio, meno che meno per un difetto o una mancanza. Schernire non si dèe mai persona, quantunque inimica, e  d'altrui né delle altrui cose non si dèe dir male.

Infine, l’arco si tende verso i detentori di verità assolute, quelli pronti a spargere consigli non richiesti, senza guardar se stessi; quelli, cioè, che si affaticano a purgare l'altrui campo, senza accorgersi  che il loro medesimo è tutto pieno di pruni e di ortica.

Che fatica avere accanto chi vuole sempre correggere i difetti degli uomini e riprenderli! Non è dilettevol costume lo essere così voglioso di correggere e di ammaestrare altrui. E se non è piacevole un’ora di conversazione con chi si erge sempre ad emendatore delle presunte manchevolezze d’altri, assai più gravosa ne è la quotidiana familiarità. Pochi o niuno è cui soffera l'animo di fare la sua vita col medico o col confessore e molto meno col giudice del maleficio. Lo scrive della Casa. E come dargli torto! Perché -parafrasando- a nessuno piace stare tutto il giorno col maestro, in quanto nell’intimità ciascuno ama la libertà e -aggiungo in chiosa-, la rilassatezza.

In copertina: Conversazione. Matisse

Alessandra Mazzei
Autore: Alessandra Mazzei

Diploma classico, laurea in Lettere classiche a La Sapienza, Master in Pedagogia, insegue una non facile conciliazione tra bios theoretikos e practikos, dimensione riflessiva e solitaria, e progettualità concreta e socialmente condivisa. Docente di Italiano e Latino, già Assessore alla Cultura e Turismo di Rossano, impegnata in diverse associazioni socio-culturali, ma, prima e più di ogni altra cosa, mamma, felice, di Chiara Stella, Gabriele e Sara Genise. Ha grande fiducia nelle capacità dei giovani, degli studenti, di quelli che poi restano e di quelli che vanno pensando un giorno di tornare. Spera di poter contribuire, insieme a loro e ad amici ottimisti, alla valorizzazione di questa terra di cui sente da sempre la forza delle radici, accanto al bisogno di paesaggi culturali ampi e aperti. Ama la scrittura, che vive, al pari dell’insegnamento, come itinerario di ricerca e crescita personale, da coltivare in forme individuali e collettive.