D’aria, d’amore e di altre sciocchezze
Liberare la nostra esistenza da quanto la ingombra per creare lo spazio (e il tempo) necessari a riconquistare la qualità del vivere e rigenerare Energia e Bellezza
Cresciuta in un’abitazione ariosa per spifferi, dove i moderni riscaldamenti li ha portati il XXI secolo, ma con un camino per ogni stanza e uno sempre acceso nel soggiorno -casa nella casa-, ho la presunzione di ritenermi esperta di fiamme. Mi ha sempre incantato contemplarne la parabola di vivacità, ricercarvi metafore di vita. Una mi si è più volte riproposta, anche se, adolescente, la capivo poco; poi, nel tempo, si è fatta più chiara. Affinché il fuoco nasca e si espanda è necessario che tra i fuscelli e gli stecchi, incrociati in una trama di combinate corrispondenze, resti il giusto spazio, passi aria. E’ questa circolazione libera di ossigeno che garantisce la combustione e sprigiona energia.
Tra gli ulivi da tempo osservo e ascolto pratiche e teorie botaniche: solo liberando l’albero dalle troppe fronde interne, si consente al vento -generoso impollinatore- di svolgere bene il suo compito, garantendo più copiosa fioritura, migliore produzione. La regola resta sempre quella: fare spazio.
Poi, in una sorta di rituale passaggio generazionale, mi è venuto un giorno nelle mani Il profeta di Khalil Gibran: Vi sia spazio nella vostra unione, tra voi danzino i venti dei cieli. […] Siate uniti, ma non troppo vicini; le colonne del tempio si ergono distanti e la quercia e il cipresso non crescono l’una all’ombra dell’altro. Ancora una volta il monito, anche nell’amore, è di fare spazio. Lasciare aria. Non ho mai smesso di rileggere e fare leggere questa pagina!
Di fronte all’estatica meraviglia per il Discobolo, appresi che quella scultorea perfezione dinamica del bronzo -poi marmo-, la sua stessa vitalità -ossimorica, ma reale- si crea per sottrazione di materia: togliendo, eliminando, limando. Così anche il raffinato labor limae poetico, come negli anni studiai.
Bellezza che nasce togliendo; armonia che si esprime lasciando spazio; crescita ed energia che si realizzano nel libero movimento.
Togliere più importante che aggiungere!
E se stessimo cercando felicità, benessere e bellezza nella direzione sbagliata?
Il minimalismo esistenziale ed estetico; l’anglosassone decluttering, spaziale e quindi emotivo; i numerosi spunti del pensiero anche orientale, tra cui il recente dan-sha-ri (buttare, rifiutare, allontanarsi), fanno ancora pochi proseliti nel nostro ambiente, ma l’ormai tanta letteratura in merito apre la strada a proficue riflessioni.
Con semplicità ed efficacia, ne ha richiamato il senso, in questi giorni, papa Francesco: digiunare vuol dire liberare la nostra esistenza da quanto la ingombra […]perché l’amore è un movimento.
E’ stata la quadratura del cerchio! Il fuoco, il rifiorire della primavera, la capacità di creare bellezza eterna, l’arte -ancora più grande- di costruire relazioni stabili, rispettose, appaganti… tutto passa da lì: lasciare lo spazio perché la vita si esprima e generi.
Eppure, la società del capitalismo e del consumismo, in ossequio alle logiche del mercato e delle apparenze, ci ha consegnato un’interpretazione distorta della felicità, fatta di ac-cumuli; questa è diventata, con la globalizzazione, inevitabilmente visione di massa, verso cui la cultura e il pensiero critico non hanno avuto la forza -forse neanche la perseveranza- di costruire solide e diffuse alternative, paesaggi più fantasiosi e ariosi per il nostro viaggio.
Eccoci senza ossigeno, ingabbiati in un asfittico circolo vizioso, fatto di immaginari compromessi, status symbols che ci portano ogni giorno a sposare la logica del comprare, dell’aggiungere, quindi del dover lavorare di più per sostenere questa rincorsa verso false icone di benessere e felicità. Il nostro tempo, così, si satura e lo stress diventa il comune denominatore su cui si spalmano insoddisfazioni, aspettative necessariamente deluse, intolleranze, e quell’inconcepibile violenza, sempre più consumata nelle pareti domestiche: nido, tradito, di protezione e sicurezza.
Si tratta, forse, di ritarare le nostre scelte e di farlo restituendo la giusta centralità alla persona, alla sua salute, ai suoi desideri: ontologico bisogno delle stelle. Così mi piace interpretare l’etimologia di questa parola lunga secoli.
Urge chiederci, individualmente, collettivamente, cosa significhi -oggi e qui- qualità di vita.
Abbiamo urlato, cantato, commossi, dalle finestre, che questo nemico comune ci avrebbe cambiati; è davvero avvenuto? Tristemente dubito. Ma, ancora in piena pandemia, possiamo prenderci il “lusso” di continuare a provarci.
C’è la necessità di tornare a pensare. Magari, per una volta, possiamo provare a spostarla la prospettiva: a chiederci cosa togliere, non cosa aggiungere; cosa davvero ci fa bene continuare ad avere, non cosa abbiamo paura di perdere. Respirare è lo scambio benefico tra ciò che va eliminato e ciò che fa bene. Per fortuna che non dipende da noi!
Sgomberiamo, riordiniamo scaffalature e priorità, smettiamo di saturare spazi e tempi di quotidianità troppo affannate. Non è forse questa la direzione che la natura, in ogni sua forma, suggerisce per sprigionare energia, vitalità e Bellezza?
(foto di Rosellina Formoso)