di MARIO OLIVERIO Per costruire dal basso il proprio futuro durevole e darsi una prospettiva di sviluppo, capace di stimolare l’inversione di tutti gli indici negativi incancrenitisi fino ad oggi, la Calabria ha bisogno di una rivoluzione culturale. Profonda e progressiva. E se è vero che le rivoluzioni non si esportano, ma nascono in seno al popolo, è quanto mai urgente che i calabresi cerchino e trovino all’interno della loro terra tutte le ragioni, le risorse e le energie per avviare quel giro di boa che consentirà alle nuove generazioni di attrarre dall’esterno, invece che di continuare ad emigrare. Senza giri di parole, ciò che serve oggi più che mai nella ed alla nostra regione è quello che
Carlo Petrini, fondatore di
Slow Food, definisce un ritorno alla terra ed una riappropriazione intelligente dei propri territori, dei propri
terroir e delle produzioni locali, per noi calabresi quella olearia in particolare. Un ritorno imprenditoriale alla terra che parta anzi tutto dai giovani, così come del resto si sta già positivamente riscontrando in diverse realtà del Paese e d’Europa. Un ritorno che sia però concreto più che romantico. Manageriale. Figlio cioè di una nuova consapevolezza, sulla quale dobbiamo imparare, soprattutto nel nostro meridione e soprattutto in Calabria, a costruire le principali occasioni di crescita lunga e condivisa. Soprattutto in campo agricolo, sforzandoci di attenderci risultati i più duraturi possibile, frenando se non interrompendo logiche di esclusivo consumo e di spreco. Nel governo responsabile ed economico delle nostre risorse naturali ed agroalimentari e dei nostri numerosi marcatori identitari sta, oggi, l’autentica e strategica via d’uscita dalla crisi ormai irreversibile dell’idea di sviluppo che ha segnato, purtroppo negativamente, gli ultimi 50-60 anni della nostra storia. È da qui, da questa presa d’atto collettiva e responsabile che dobbiamo ripartire, abituandoci a considerare le macerie prodotte da imposte visioni nazionali, che hanno spesso mutato e distrutto definitivamente risorse, paesaggi e la stessa vivibilità di tanti nostri territori, come un punto di non ritorno. Soprattutto per le politiche e le istituzioni pubbliche di questa regione, sulle quali grava il dovere storico, epocale ed ineludibile, di indicare ed accompagnare, senza alcun tentennamento, scelte e percorsi destinati a suggerire un’alternativa di sviluppo, forte e realmente attrattiva, alla triste fotografia dei tanti piccoli e grandi cimiteri industriali ereditati. Dalla rivalutazione e fruizione degli immensi giacimenti archeologici, quelli visibili e soprattutto quelli documentati ma ancora sommersi, alla riqualificazione e rivitalizzazione dei nostri centri storici, autentici scrigni di qualità della vita oggi ricercata a caro prezzo nel resto d’Europa e del mondo; da una rinnovata attenzione sinottica ai patrimoni montano, collinare, lacustre e marittimo alla tutela e promozione dei nostri paesaggi e delle nostre risorse naturali, attraverso la prevenzione ed il governo del dissesto idrogeologico e, in pari tempo, una strategica campagna di comunicazione anzi tutto interna della nostra complessiva e plurima identità regionale. Investendo inevitabilmente sulla mobilità ed intermodalità interna ed esterna. E sulla tutela dell’ambiente. Restano, queste, le emergenze ed al tempo stesso le principali opportunità da aggredire subito e sulle quali dobbiamo giocarci, tutti insieme, ogni risorsa, ogni strumento ed ogni idea a servizio della voglia di cambiamento e progresso che c’è nei calabresi. La sfida epocale alla quale siamo chiamati, anche e soprattutto nella nostra regione, resta però un’altra. Ed è, anche se su di essa serve ulteriore consapevolezza condivisa, quella della cosiddetta sovranità alimentare. Come ogni popolo, anche noi calabresi abbiamo e dobbiamo riconoscere e rivendicare anzi tutto a noi stessi il diritto di seminare, coltivare, produrre e consumare il cibo che possiamo tranquillamente definire identitario. La completa autosufficienza alimentare non è nell’ordine delle cose contemporanee. Una buona parte di essa però sì. E la Calabria ha tutte le risorse e caratteristiche per costruire sulla produzione e sul consumo locali, prima ancora che sull’esportazione, la propria vera rivoluzione. Quella dei prodotti di un’agricoltura millenaria che, nel rispetto della cultura, delle esperienze e della sapienza ereditata nei territori, messa a regime con l’utilizzo delle nuove tecnologie ed accompagnata da una stagione di capillare educazione alimentare nel mondo della nostra Scuola, può rappresentare un potentissimo elemento di liberazione. E di progresso economico. Perché se il cibo è la questione planetaria del secolo (Expo docet), è a tavola che si fa Politica! È per questo che, attraverso la definizione del
Programma di Sviluppo Rurale (PSR) 2014-2010, stiamo puntando concretamente sui settori strategici della nostra agricoltura: in primis l’olivicoltura, l’agrumicoltura e la zootecnia, con il potenziamento delle relative filiere. Sosterremo l’aggregazione dei produttori, favorendo la valorizzazione e la commercializzazione dei prodotti regionali e la loro competitività sui mercati nazionali ed internazionali. Riserveremo grande attenzione alle zone di montagna, alle aree interne e, per la prima volta, ai terreni agricoli confiscati alla mafia. Supporteremo i giovani agricoltori sia con premi di insediamento che contribuendo ai loro investimenti, stimolandoli a fare impresa. È in questa analisi ed in questa visione necessariamente di lungo periodo (guardando con attenzione anche a quella che da più parti viene definita la primavera dei vini calabresi) che non può non imporsi, da sola e con ogni evidenza, la grande questione della millenaria cultura dell’ulivo e della produzione di olio extravergine di qualità in questa regione. In un Paese che resta la piattaforma del commercio internazionale dell’olio d’oliva, spesso sotto scacco delle multinazionali e di altri interessi, e che resta il secondo produttore mondiale di olio dopo la Spagna ma nello stesso tempo il più grande e paradossale importatore di extravergine, la Calabria, insieme alla Puglia ed alla Sicilia è una delle regioni più rappresentative della produzione olivicola nazionale (più del 70% proviene da queste tre regioni del Sud). Se su questa fotografia c’è poco da obiettare, non può più essere considerato affatto normale che soltanto il 7-8% dell’olio prodotto in Calabria venga imbottigliato. Siamo al nocciolo duro del problema e della questione alimentare e produttiva. Siamo di fronte ad un corto circuito insostenibile che, per le quantità e per la qualità del prodotto, rappresenta il paradigma di tutti gli altri paradossi economici irrisolti di questa terra e sui quali tutti gli attori, pubblici e privati, devono interrogarsi. Per continuare sulla strada, che in pochi mesi abbiamo intrapreso come Regione Calabria, di sostegno alle nuove generazioni ed alla nostra ricchezza agricola. Per continuare a stimolare una radicale inversione di tendenza. Nei produttori, nei trasformatori e nei consumatori.
*Presidente della Giunta Regionale della Calabria