Le divisioni fanno da sempre parte della storia del mondo, dei popoli e delle tradizioni e quando entrano a far parte delle grandi dottrine, segnano una spaccatura che spesso è insanabile. La storia della religione racconta di uno scisma (divisione) tra oriente e occidente dovuto alle nette differenze di una cristianità che si ritrova separata non solo per questioni geografiche, ma anche per una profonda diversità interna al dogma stesso. L’oriente risentirà per forza di cose dell’influsso musulmano, l’occidente, invece, del lento inserimento del mondo latino dei Franchi-Carolingi, ma nello stato dei fatti l’impero di Costantinopoli sarà caratterizzato dal regno di Bisanzio, mentre quello latino da Roma profondamente occidentalizzata. E così dalla metà del XI secolo, il Patriarca di Costantinopoli si chiamerà Arcivescovo di Costantinopoli Nuova Roma, mentre il Papa sarà il vicario della chiesa Romana.
In Calabria è la provincia di Cosenza a racchiudere la forte tradizione ortodossa (dal greco orto - retto, giusto e doxa - opinione, legge) con l’Eparchia di Lungro che comprende ad oggi 25 comuni della provincia cosentina, in cui le comunità italo albanesi si ritrovano raggruppate dal XV secolo dopo la fuga delle popolazioni albanesi che trovarono rifugio ed ospitalità nella terra di Calabria, già fortemente radicata alla spiritualità greca. Da lì in avanti nei secoli, i rapporti con la chiesa latina furono sempre più conflittuali e dopo il Concilio di Trento (1563), molte comunità arbëreshe si inserirono nella giurisdizione latina, non favorendo un miglioramento dei rapporti ed anzi contribuendo alla latinizzazione di molti fedeli ortodossi. La consacrazione dell’Eparchia di Lungro avvenne il 13 febbraio 1919 con la bolla
Catholici fideles di Papa Benedetto XV, che sancì il riconoscimento di una chiesa ed una comunità che oggi si ritrova ancora più unita attorno alla propria identità. Una realtà quella calabrese che rispecchia una storia lunga, che racconta la fede cattolica fondata su un solo dogma ed unico credo separati solo da confini mentali, territoriali e di lingua. Ecco, probabilmente, sarà stato mosso da questa convinzione
Papa Francesco che nei giorni scorsi in Turchia, con i suoi piedi scalzi nella moschea Blu e con l’abbraccio fraterno al massimo esponente della chiesa ortodossa Bartolomeo I, ha segnato dei momenti che resteranno nella storia. Un gesto, quel capo chino in attesa di una benedizione che significa unità e fratellanza per una comunità mondiale che chiede ascolto, perché il messaggio di pace passa dalla capacità di parlare attraverso una sola voce.
s. t.