La guerra dei pini: a Corigliano-Rossano la motosega fa politica
Da Pennino a Sant’Angelo fino a Schiavonea, il sindaco Stasi dichiara guerra ai pini marittimi (e non siamo nemmeno a giugno!). Ma tra ironie, nostalgie e alberi che cadono da soli, la città scopre che anche il verde… può avere un colore politico

A Corigliano-Rossano i pini non dormono più sonni tranquilli. Prima la scure è caduta a Pennino, poi a Sant’Angelo — dove piazza Caduti di Nassiriya è diventata improvvisamente “piazza dei caduti… e dei pini” — e adesso il vento (di motosega) soffia anche sul Quadrato di Schiavonea.
Pare che il sindaco Flavio Stasi, l’ultimo rivoluzionario di piazza rimasto in servizio permanente effettivo, abbia dichiarato guerra al pino marittimo, il “Sacro albero” di Benito Mussolini.
Ora, giusto per mettere i puntini sulle “i” (e sulle “p”), i pini di Corigliano-Rossano sono marittimi, sì, ma con il Ventennio fascista non c’entrano nulla. Non li piantò il Duce, non furono battezzati dall’ONB e non presenziarono alle adunate del sabato. Però, nel dubbio, meglio tagliare: non si sa mai che qualche radice nostalgica spunti dal terreno.
La voce che gira — e che naturalmente nessuno conferma, ma tutti amano ripetere — è che il primo cittadino, cresciuto a pane e Lotta Continua tra un’assemblea universitaria e un volantino ciclostilato, non sopporti più quell’odore di resina… troppo patriottico, troppo “ventennio”.
Del resto, il pino marittimo fu davvero l’albero prediletto del regime: piantato lungo le strade dell’Impero, simbolo di romanità, verticalità e orgoglio italico. Roba che, a sentirla oggi, fa venire l’orticaria anche al più tiepido dei progressisti.
E allora via, giù di tronchese e motosega, ché magari a forza di segare tronchi si estirpa anche qualche radice ideologica.
«È per sicurezza pubblica», dice il Comune. Certo. Come no. Un po’ come quando tagliavano gli alberi per “igiene morale”. Solo che oggi, invece della camicia nera, ci sono i giubbini catarifrangenti della ditta appaltatrice.
Intendiamoci: i pini, a Corigliano-Rossano, qualche problema lo danno pure. Le radici sollevano i marciapiedi, spaccano le strade, e quando piove sembrano fare di tutto per caderti addosso. Ma la sequenza con cui cadono – prima Scalo, poi Sant’Angelo, ora Schiavonea – ha qualcosa di chirurgico.
Come se in municipio ci fosse un piano segreto: “Operazione Pinus Fascistus – Liberare la città dal verde compromesso” come direbbe Marcello Veneziani.
E qui, attenzione, perché a Schiavonea la storia si fa ancora più surreale.
Il pino, quello incriminato, pare non l’abbiano neppure toccato. È caduto da solo.
Così, di sua spontanea volontà, forse per non essere accusato di collaborazionismo. Un suicidio ideologico in piena regola: l’ultimo gesto coerente di un albero colto in flagrante romanità.
A questo punto la domanda sorge spontanea: ma che ne sarà dei pochi superstiti? Li manderanno in un campo di rieducazione botanica? Li sostituiranno con dei papaveri rossi o delle più popolari margherite? O, peggio ancora, con qualche palma globalista made in Dubai?
Nel dubbio, qualcuno giura di aver sentito uno degli ultimi pini di Piazza Caduti sussurrare: «Flaviostà… noi non siamo fascisti!» Hanno solo lo stigma di essere la pianta, dall’animo ballilla e dalla scorza romana, tanto amata dal Duce. E per questo punibile e sacrificabile?
La vera verità, come diceva Totò, non lo sapremo mai. Ma se è vero che anche gli alberi hanno memoria, allora i pini di Corigliano-Rossano, prima o poi, chiederanno vendetta.
Magari ricrescendo proprio davanti al Municipio, con le radici ben piantate nel marciapiede e i rami tesi verso il cielo, a forma di saluto… vegetale.
E allora sì, lì sarà davvero un problema politico.