Vi svelo un segreto: gli astensionisti non se li fila nessuno
Sono tanti, sempre di più e contano come il due di briscola. Perché alla fine chi decide sono sempre i pochi che si recano alle urne e scelgono chi comanda per tutti, indistintamente. Non è così che si fa la rivoluzione per cambiare le cose

Vi svelo un segreto: gli astensionisti non se li fila nessuno. Nessuno. E dire che sono un esercito, sempre più grande, sempre più convinto di essere nel giusto e, soprattutto, convinto di essere determinante. Non è così. La verità è un’altra, ed è amara: contano come il due di briscola. Perché alla fine chi decide sono sempre i pochi che votano, quelli che mettono la croce, che scelgono chi comanderà tutti, anche chi alla fine ha preferito alzare le mani sulla scheda elettorale.
Conviene davvero astenersi? A che serve? Solo ad allungare l’agonia di uno stato di cose che non fa bene a nessuno, ma di cui siamo tutti corresponsabili. Anche chi si astiene.
In Calabria lo abbiamo visto di nuovo, con una chiarezza quasi offensiva. Alle ultime regionali del 2025 si è recato alle urne appena il 43,1% degli aventi diritto. Quattro su dieci. Il resto a casa. Quattro anni fa, nel 2021, erano stati il 44,3%. Un punto in meno, un record in più. Una sconfitta per tutti.
E allora è lecito chiedersi: che senso ha continuare a parlare di “popolo sovrano” se più della metà del popolo abdica, rinuncia, si arrende? La sovranità, in Calabria, oggi è diventata roba per pochi. Pochissimi.
La maggioranza non vota più. Ma chi resta, chi ci crede ancora, decide anche per loro. È un meccanismo perverso ma reale. E, soprattutto, perfettamente legale. Perché la democrazia, quella vera, non è fatta per chi si tira fuori, è fatta per chi partecipa. E chi partecipa vince, anche se sono sempre gli stessi. E sono sempre più pochi.
Mettetevelo in testa: meno si vota, più vince il potere consolidato. Quello che lavora nella direzione opposta e contraria a quello di cui la stragrande maggioranza delle persone si lamenta. Con un aggravante: essere legittimati dal voto democratico.
È questa la grande contraddizione della nostra epoca: la politica è lontana, sporca, inutile – dicono. Ma non andare a votare non la migliora, la consolida. La protegge. Le dà forza. Il “non voto” non è un atto di ribellione. È una firma invisibile su tutto ciò che si dice di voler cambiare.
E allora eccoci qui, con una regione che non si scuote, con un popolo che ha smesso di bussare alle porte del potere, forse perché crede che non si aprano più. Ma le porte, in realtà, restano spalancate per chi ha ancora voglia di provarci. Gli altri restano fuori, a lamentarsi.
Astenersi è diventato comodo. È la scorciatoia morale di chi si sente migliore ma non vuole sporcarsi. È il “tanto non cambia nulla” che diventa profezia autoavverante. Non cambia nulla, infatti, proprio perché nessuno prova a cambiarlo.
E così la Calabria si risveglia, ancora una volta, con gli stessi slogan, con gli stessi sistemi a reggere i palazzi e le stesse smorfie di disincanto nelle strade. EMa la colpa, questa volta, non è solo loro. È nostra. Perché in democrazia non si può delegare la speranza agli altri.
Se non voti, non conti. Se non conti, non lamenti. E se non lamenti, allora taci.
E il silenzio, in politica, è sempre il rumore più forte di chi ha già deciso tutto. È connivenza. E l'unico modo per non tacere è votare.