Lucano davanti al carcere di Rossano: «Solidarietà per Ahmad, non è terrorismo chiedere la fine di un genocidio»
Un gruppo di cittadini e attivisti si è radunato per sostenere il giovane palestinese detenuto in alta sicurezza da sei mesi. L’europarlamentare: «Corigliano-Rossano valuti il gemellaggio con Gaza»
CORIGLIANO-ROSSANO - Questa mattina, festa dell’Immacolata, davanti al carcere di Ciminata, a Corigliano-Rossano c’era un silenzio diverso dal solito. Un gruppo di persone, infatti, si è dato appuntamento quasi spontaneamente: cittadini di Corigliano-Rossano, attivisti del territorio, due ragazze palestinesi e alcuni rappresentanti dei movimenti pro-Palestina. A muovere tutti è la storia di Ahmad Salem, 24 anni, palestinese cresciuto nel campo profughi di al-Baddawi e arrivato in Italia per chiedere asilo politico.
Da più di sei mesi è detenuto nel reparto di alta sicurezza della struttura rossanese, dopo essere stato accusato di istigazione a delinquere e “auto-addestramento con finalità di terrorismo” sulla base di un video pubblicato online durante la guerra a Gaza. Una vicenda che i suoi sostenitori definiscono «un caso di fraintendimento politico-giudiziario», e che i legali hanno già portato davanti alla Cassazione.
Tra i presenti stamattina c’era anche Mimmo Lucano, europarlamentare ed ex sindaco di Riace, accompagnato Fernando Pignataro (Free Palestine for Gaza), Angelo Broccolo, l'ex sindaco di Rossano Tonino Caracciolo, e Umberto Romano, promotore della mobilitazione. Da qui è partita anche la richiesta ai parlamentari di AVS di presentare un’interrogazione sul caso.
Lucano non si è nascosto dietro ai formalismi: «Sono qui - ha detto - per solidarietà verso un ragazzo scappato dalla disperazione del suo popolo. Se non ci sono prove reali di terrorismo, questa detenzione è un fatto grave. Chiedere la fine di un genocidio non è un atto terroristico. A Riace ci siamo gemellati con Gaza: altre città potrebbero farlo. Corigliano-Rossano dovrebbe pensarci».
Parole che, nel piazzale silenzioso, hanno trovato più di un cenno d’assenso. La sensazione, oggi, è che la storia di Ahmad non sia solo un caso giudiziario, ma un simbolo di un dibattito più grande: quello sul confine – sempre più sottile – tra solidarietà e repressione, tra libertà di esprimere una posizione politica e i timori generati da un mondo attraversato dai conflitti.
E davanti al carcere, in un giorno di festa, quella domanda è tornata a galla: come si difende un diritto quando il mondo intorno diventa più fragile?