La Calabria del nord-est svuotata: un’intera città cancellata in cinque anni
Nella Sibaritide-Pollino persi 7.126 giovani in 5 anni. Mentre la politica continua a parlare di futuro senza chi dovrebbe viverlo e di astensionismo. I Calabresi di Calabria votano, gli altri si sono arresi all’inerzia della politica

Immaginate di percorrere le strade di una città di medie dimensioni della nostra Calabria del nord-est. Palazzi che si affacciano muti su piazze deserte, scuole che non echeggiano più di voci, bar le serrande abbassate… tutto questo perché manca la linfa vitale che li teneva in vita: le persone.
È un’immagine che ricorre spesso alle nostre latitudini. Ma vi chiedo di spingere ancora più in là la vostra immaginazione. Pensate di camminare a Cariati o a Spezzano Albanese, a Trebisacce o nel centro urbano di Mirto e di vedere solo l’impianto urbano del paese e nemmeno un’anima in giro.
Ecco, negli ultimi cinque anni è accaduto davvero. Non in un sogno cupo, non in un racconto distopico, ma nella realtà quotidiana di questa terra. I dati Istat (che vi abbiamo raccontato nei giorni scorsi in un report giornalistico della collega Rita Rizzuti - leggi qui) lo raccontano in tutta la loro freddezza: abbiamo un deficit demografico di 7.126 persone dal 2019 ad oggi. E non persone qualsiasi. Parliamo di ragazze e ragazzi di età compresa tra i 18 e i 35 anni. Come se - appunto - un’intera cittadina fosse stata cancellata dal cuore della Sibaritide-Pollino.
Altro che - come si legge e sente in questi giorni di campagne elettorale frenetica - “abbiamo fermato i ragazzi alla stazione con la valigia in mano”. Forse sarà pure accaduto ma probabilmente l’ancora della salvezza è arrivata tardi, quando la corriera e il bastimento aveva già preso il largo, carico dei nostri giovani.
Dietro quei numeri si nascondono valigie cariche di speranze, partenze all’alba, addii bagnati dalle lacrime di famiglie che restano e di giovavi che non torneranno mai più.
Ragazzi che lasciano le proprie radici per inseguire altrove la dignità di un lavoro, il respiro di un futuro, la possibilità di costruire una vita che qui sembra preclusa.
Ottobre ci chiamerà alle urne, quasi 1,9 milioni di calabresi. Ma il dato più amaro non sta nei votanti: sta negli assenti. Nelle schede che non verranno mai compilate, nelle matite che non tracceranno alcun segno, negli occhi che non leggeranno programmi e promesse. La Calabria che si presenterà al voto sarà monca, privata del volto più giovane della sua comunità.
E guai a parlare di astensionismo, perché i calabresi - quelli che realmente vivono qui - votano, e come se votano! Bisognerebbe, invece, parlare di “resa per la restanza”. Perché chi va via e non torna a votare non lo fa perché vuole esprimere la sua astensione, il suo dissenso, ma semplicemente perché della sua terra non gli importa più nulla. Dal momento che quella terra gli ha tolto il bene più prezioso: le radici.
E allora la domanda diventa incalzante: che senso ha parlare di sviluppo, di futuro, di visioni nuove, se chi dovrebbe viverle e guidarle non c’è più? Se l’agenda politica non trova sponda in chi rappresenta la parte più viva e pulsante della società?
Una democrazia che lascia andare via i giovani è una democrazia senza alcun senso, che si spegne lentamente, che rischia di diventare un esercizio sterile, un rituale privo di prospettiva.
Il silenzio che grava su questo fenomeno è assordante. Perché guardarci a fondo significa ammettere colpe abnormi della politica e delle istituzioni che affondano in almeno 50 anni di democrazia a senso unico. Quella che ci ha abituati, assuefatti -direi - a salutare i nostri figli agli imbarchi, negli aeroporti, nelle stazioni e, soprattutto, alle pensiline degli autobus. Come se la partenza fosse diventata un destino naturale, inevitabile per questa terra che - come criviamo da tempo - nasce già con la valigia in mano.
Politiche miopi di ogni colore, di ogni natura, di ogni posizione ci hanno ridotto a questo con infrastrutture inesistenti e un’economia incapace di trattenere i suoi talenti ma soprattutto messa in ginocchio da vincoli, stereotipi e paletti mentali e ideologici che riducono sempre più questo angolo della Calabria ad essere una riserva indiana.
La speranza, più che la sfida, è che chiunque uscirà vincitore dalle prossime elezioni regionali abbia il coraggio di rovesciare questo paradigma nella Sibaritide-Pollino; abbia il coraggio di aprire la Vertenza generazionale così da restituire motivi per restare, di immaginare una Calabria che non sia solo terra di partenze ma anche di ritorni.
Perché una regione senza giovani non ha futuro. E perché, se non invertiamo la rotta, continueremo a vedere svuotarsi le nostre città, una dopo l’altra, fino a ritrovarci a fare i conti con un deserto che non sarà più soltanto demografico, ma prima di tutto umano.