L’aeroporto di Sibari non è un chiurito
Mettere le ali all’economia agricola del Sud (non solo della Sibaritide) attraverso un’infrastruttura strategica che può trasformare il nostro distretto agroalimentare in una vera industria green

Non è la guerra tra poveri. E nemmeno la competizione al ribasso fra aeroporti calabresi. Quella dell’aeroporto della Sibaritide non è – e non deve diventare – la gara della sfiga fra Sibari e Crotone. Chi pensa che questa vertenza sia una lotta per un nuovo scalo passeggeri, o per contendersi qualche volo civile in più, non ha compreso il senso profondo di questa battaglia.
Chi ci crede davvero sa che un aeroporto a Sibari non nascerebbe per far volare i turisti (forse, anche ma in una fase secondaria non prioritaria). Ma sarebbe uno scalo per far decollare l’economia non solo della Sibaritide, non solo della Calabria ma dell'Italia meridionale.
Un’infrastruttura che servirebbe a reggere il peso del distretto agroalimentare più vasto e potenzialmente produttivo del Mezzogiorno; un hub merci, un punto di raccolta, di smistamento e di export, a servizio di un territorio che oggi produce probabilmente un decimo del suo vero potenziale.
La Sibaritide, che pure è una delle pianure agricole più ricche d’Europa, continua a restare sotto la soglia della sua stessa potenzialità. La produttività, dicevo, è fra le più basse del Sud Italia e l’aggregazione imprenditoriale è praticamente inesistente.
Si ripete da sempre, come un mantra, che la Calabria è come la California, ma le similitudini servono a poco se restano sulla carta. Le somiglianze geografiche non bastano: servono le infrastrutture, servono le politiche industriali. E più che una California, questa terra potrebbe ambire ad essere la nuova Spagna, dove l’agricoltura si è trasformata in industria.
Ecco il punto: se il Nord-Est calabrese – di riffa o di raffa – ha deciso di rifiutare ogni nuova frontiera dell'industrializzazione (e basti ricordare, come monito, la parabola di Baker Hughes), beh, allora che si faccia diventare l’agricoltura una vera industria, il suo motore di sviluppo sostenibile.
Perché questo accada, però, bisogna decuplicare la produttività.
Serve passare dalla produzione familiare/domestica a quella aziendale, serve aggregare e innovare, serve imporsi sui mercati e non subirli.
Serve specializzarsi sulle eccellenze che già abbiamo – agrumi, olio, drupacee, frutta – ma che non sfruttiamo al massimo del loro valore aggiunto.
E servono infrastrutture. Tutte.
Quelle culturali, perché il cambio di paradigma passa dalla formazione e dalla ricerca applicata sul campo.
Quelle sociali, perché senza consorzi veri, forti, capaci di tutelare il prodotto e renderlo competitivo, non si va da nessuna parte.
E infine quelle fisiche, quelle che consentono ai prodotti di viaggiare: la piastra del freddo, il mercato di contrattazione, la piattaforma logistica e, quindi, la ramificazione ferroviaria, l'attivazione concreta del porto di Corigliano-Rossano e la realizzazione dell'aeroporto.
Un porto (che già c'è) e un aeroporto (in divenire) che servano il grande distretto agroalimentare della Sibaritide, che può diventare – per estensione e potenzialità – il distretto del Sud Italia, raccogliendo produzioni dalla Puglia, dalla Basilicata, dalla Campania e da tutta la Calabria.
Un hub in grado di spedire nel mondo le eccellenze agroalimentari del Mezzogiorno, garantendo competitività, velocità e valore ai nostri prodotti.
Ed è proprio qui che si comprende perché Sibari è il posto giusto per tutto questo. Perché a Sibari sta nascendo lo snodo d’istmo più importante del Mezzogiorno. Forse non ce ne rendiamo conto, ma da qui a qualche mese quella landa desolata che sembra la Piana diventerà il punto in cui – grazie al raddoppio ferroviario della galleria Santomarco e al Terzo Megalotto della SS106 – confluiranno rapidamente le direttrici autostradali e ferroviarie jonica, tirrenica e adriatica. Ed ecco perché l'hub logistico per l'agroalimentare, con la sua piastra del freddo, non può sorgere a Gioia Tauro - come nell'idea della Giunta Regionale - ma deve avere senso, significato e consistenza qui, nella Sibaritide.
Abbiamo due possibilità: rimanere un punto di passaggio per le merci che viaggeranno da est a ovest (e viceversa) dell'Italia e dell'Europa; oppure diventare frontiera vera. Un crocevia strategico:perché a pensarci bene in sessanta minuti potrà raggiungere Sibari tutta la Calabria produttiva, la Basilicata, l’intero Salernitano e persino il Tavoliere delle Puglie.
Un punto di concentrazione naturale per le merci unico, non replicabile in nessun'altra parte dell'Italia e del Mediterraneo, dove la logistica potrebbe diventare motore di competitività per il Sud intero.
Ecco perché l’aeroporto di Sibari non è affatto un chiurito, un vezzo o - peggio ancora - una boutade. È, semmai, una visione industriale moderna, coerente con la vocazione del territorio.
Poi sì, certo: i cittadini del Nord-Est potranno volare da Crotone, da Lamezia, da Napoli, da Bari, da dove vogliono purché siano messi nelle condizioni di accedere ad un aeroporto in tempi europei. Ma per arrivare a Crotone oggi servono due ore di viaggio da Sibari.
Come si fa a parlare di sviluppo dello scalo crotonese se i collegamenti restano quelli di ottant’anni fa? È una visione assurda.
Il Nord-Est può anche volare da Crotone, ma deve poterlo raggiungere in tempi europei. E per questo servono investimenti veri: circa sei miliardi di euro per completare la nuova SS106 Corigliano-Rossano/Crotone e lo snodo ferroviario di Sant’Anna.
Su questi dossier, però, la politica cincischia, finge di non vedere o si accontenta dei rendering.
E allora no, l’aeroporto di Sibari non è un capriccio, non è un doppione, non è un sogno irrealizzabile. È la naturale evoluzione di una strategia di sviluppo che parte dalla terra e arriva al mondo.
Tutto il resto è noia, fuffa... è rumore di fondo.