Ma a Corigliano-Rossano si è capito cosa vogliamo?
Tra paure infondate e no a prescindere, la città smarrisce occasioni. Il porto è l’esempio più clamoroso: industria no, turismo di massa no... Ma quindi che vogliamo fare? Dio aiuta solo chi sa aiutarsi!

C’è una città che dice sempre no. No ieri, no oggi, no domani. A tutto. A prescindere. Corigliano-Rossano da tempo ha smarrito il filo della sua identità e della sua visione. O forse non l’ha mai davvero avuta. C’è una comunità che diffida, che si indigna, che si lamenta ma che – purtroppo – non si assume mai la responsabilità delle sue scelte. E in mezzo ci siamo tutti, o quasi.
Prendiamo un esempio totale: la vicenda Porto. Ma potremmo parlare di qualsiasi altra cosa. Quell’infrastruttura che avrebbe potuto cambiare le sorti del territorio, che ha visto scorrere fiumi di inchiostro, proteste, barricate ideologiche, preconcetti senza il minimo studio. Prima le lotte infinite per dire no all’ipotesi di un’industria metalmeccanica a bordo banchina (la vicenda Baker Hughes), con la paura del mostro alle porte. Paure che poi non hanno trovato alcun fondamento. Ora, paradossalmente, anche la prospettiva di un porto crocieristico viene vista come una minaccia. Ma davvero? Si evoca il turismo di massa, si sogna il rilancio, eppure quando si mette in campo anche solo l’idea di attrarre grandi flussi, subito parte l’ostracismo.
La verità – possiamo stare tranquilli tutti – è che il crocierismo, qui, non tornerà mai più se prima non si avrà la capacità di creare una destinazione, un sistema di accoglienza, infrastrutture adeguate. E ci vorranno secoli, se non ere geologiche. Hai voglia di parlare di destagionalizzazione, turismo esperienziale, stagione lunga da maggio a ottobre, di Bandiere Blu, Verdi, Arancioni… Se non si comincia, se non si rischia, se non si fa un passo in avanti, resteremo sempre qui: immobili, a guardare gli altri crescere e noi a recriminare.
Allora è meglio che ci mettiamo tutti in testa – popolo in primis (perché politici, colletti bianchi, borghesia paranobiliare e radical chic i buoi nel recinto li hanno già chiusi!) – che la bacchetta magica non esiste. Che nessuno verrà a calarci una buona cosa dall’alto (anche perché, quando arriva, la rifiutiamo pure!).
Non c’è un pulsante che dall’oggi al domani colma i ritardi di decenni. È pacifico. E quindi, a un certo punto, bisogna pure rimboccarsi le maniche. Perché qui il problema non è solo la politica, non è solo chi governa o chi amministra: il problema è un popolo che ha imparato a lamentarsi molto e a lottare poco. Che preferisce delegare, ma poi si incazza se le cose non vanno. Ma soprattutto c’è un popolo che, evidentemente, non sa votare e che poi si lamenta di chi ha votato.
Allora la domanda è semplice quanto brutale: ma cosa cazzo vogliamo davvero? Si accettano miracoli… anche se Dio aiuta solo chi sa aiutarsi.