Sanità nella Calabria del nord-est: l’arte della resa
Meno di un anno fa lo spoke di Corigliano-Rossano salutava l'arrivo del chirurgo di fama Sebastiano Vaccarisi. Un innesto importante per rilanciare la sanità jonica per traghettarla verso il nuovo ospedale. Oggi va via. Lo hanno lasciato solo

Meno di un anno fa raccontavamo una storia che, per una volta, sapeva di speranza. Il professor Sebastiano Vaccarisi – uno dei nomi più autorevoli della chirurgia italiana (oltre 6.000 interventi eseguiti, decine di trapianti, una carriera costruita su merito e competenza) – aveva scelto di venire a Corigliano-Rossano. Sì, scelto. Avrebbe potuto andare ovunque, in centri più grandi, più attrezzati, più prestigiosi. E invece era arrivato qui, nella periferia della sanità calabrese, con una missione: rimettere in piedi la Chirurgia del “Giannettasio” e prepararla al salto di qualità verso il nuovo ospedale unico della Sibaritide.
Oggi, meno di dodici mesi dopo, se ne va. Ha scelto di accettare l’incarico - vinto per concorso - all’ospedale di Germaneto.
E non se ne va per ambizione personale. Non per un’offerta irrifiutabile. Se ne va per resa. Se ne va dove sa di poter essere più utile. Resa di fronte a un sistema politico che, soprattutto in Calabria, dove non esiste altra sanità che quella pubblica, ha il potere assoluto sul diritto alla salute.
E sia chiaro: la colpa non è dei manager. In Calabria la sanità è territorio esclusivo della politica. Qui vale la regola di ferro che solo la politica tutto puote. Può promettere, può disfare, può annunciare. E può soprattutto non fare.
Quando Vaccarisi era arrivato, aveva posto una condizione semplice e limpida: strumenti e tecnologia. La chirurgia moderna non si fa con i sorrisi e le targhe inaugurali: si fa con apparecchiature all’avanguardia, con sale operatorie sicure, con risorse degne del XXI secolo. L’obiettivo? Arrivare al nuovo ospedale già pronti a essere un’eccellenza.
Risultato? Il nulla assoluto. Lo hanno lasciato solo.
Promesse in conferenza stampa, titoloni sui giornali, video patinati per i social. Ma in corsia, niente. Il campanile prima di tutto: misurare voti e consensi prima ancora di misurare la pressione a un paziente.
Eppure bastava guardare i fatti: in meno di un anno Vaccarisi aveva invertito la rotta dell’emigrazione sanitaria, riportato fiducia, salvato vite. Solo poche settimane fa raccontavamo la storia di una donna salvata qui, a Corigliano-Rossano, senza dover fuggire a Roma o Milano. La dimostrazione plastica che con le persone giuste e i mezzi giusti, la sanità funziona.
Ma la politica ha scelto di chiacchierare mentre la nostra città perde un’altra eccellenza nel silenzio assordante (e compiacente?) della politica. Intanto, chi resta nei nostri ospedali lo fa resistendo, ripiegandosi su sé stesso ogni giorno, prendendosi le mortificazioni di cittadini stanchi e arrabbiati. Chi può, invece, scappa. «Perché qui – alle condizioni del campanile – non cambierà nulla», come confidano sottovoce molti medici.
Intanto, il mantra resta sempre lo stesso: “nuovo ospedale”, “eccellenza”, “opportunità”. Ma senza strumenti, senza assunzioni, senza visione, il nuovo ospedale sarà una scatola vuota.
E forse va bene così, perché così il cittadino, per fare un esame o una visita che gli spetterebbe di diritto, deve chiamare, bussare, pregare. È il meccanismo perfetto della politica-clientela: la sanità come serbatoio elettorale, non come servizio pubblico.
Perché in Calabria, al netto delle narrazioni felici, la salute continua a non essere un diritto accessibile a tutti. È una concessione. E finché resterà tale, le eccellenze continueranno ad andarsene. E noi continueremo a raccontare storie che iniziano come miracoli e finiscono come rese.