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Snobismo, una variante moderna della superbia oppure l’ottavo vizio capitale?

6 minuti di lettura

Gli umani sono tra gli esseri più sociali del nostro pianeta. Pochi viventi sul nostro pianeta costruiscono reti sociali complesse come le nostre, e noi siamo gli unici che includono in queste reti individui non imparentati. Alcuni scienziati credono addirittura che proprio questa ipersocialità, in teologia la chiamiamo relazione, sia  la causa delle dimensioni del nostro cervello triplicato in soli due milioni di anni. Con l’avvento di internet e dei cosiddetti social questa capacità relazionale si è moltiplicata ulteriormente.

Essendo così profondamente “sociali”, non c'è da meravigliarsi che mentre nella notte arbëreshe di Vaccarizzo soffiava un’improvviso e costante vento fresco - lo stesso che ispira Franco Azzinari nei suoi quadri, e che fa ondeggiare i fiori rossi di numerose bouganville dai rami arrampicati su numerosi muretti e staccionate e balconi e cortili interni e porte, che vado censendo nelle mie passeggiate  - le reti sociali virtuali erano roventi intorno all’articolo di Alain Elkann sulla presunta abissale differenza tra generazioni e sopratutto la marcata differenza tra la raffinata educazione e la ricchezza e la loro mancanza che dividerebbero palesemente le persone nella odiate classificazione sociale. Questa polemica mi dà l’occasione di fare una riflessione nel contempo da catecheta, cioè seria e pedagogica, ma anche da ombrellone, spero leggera e istruttiva.

Qualche anno fa un noto marchio di gelato rivoluzionò il marketing e poi la relativa pubblicità sull’accattivante tema dei vizi capitali. Fu una cavalcata dei vizi visti non come disvalori da evitare ma da conquistare. L’idea in qualche modo blasfema ha riportato alla luce l’elenco di questi comportamenti riprovevoli e dunque questi concetti dimenticati si ritrovarono letteralmente sulla bocca di tutti, forse meglio di ogni azione pastorale mirata. Sarà il turno dello snobismo, con la sua carica di raffinatezza ed eleganza e mondanità? Lo possiamo aggiungere al famigerato elenco dei vizi?

Quando vogliamo parlare di ciò che significa peccato, ci riferiamo ad un elemento fuorviante che porta alla autodistruzione, una conseguenza della mancanza di qualcosa che non c’è ma dovrebbe essere, tipo la temperanza. In latino mancanza si dice vitium. I vizi nel ambito dell’etica si definiscono nell’assenza e per contrasto di quelle abitudini positive chiamate virtù. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 1853 troviamo che  peccati possono essere distinti secondo il loro oggetto, come si fa per ogni atto umano, oppure secondo le virtù alle quali si oppongono, per eccesso o per difetto, oppure secondo i comandamenti cui si oppongono. Si possono anche suddividere a seconda che riguardino Dio, il prossimo o se stessi; si possono distinguere in peccati spirituali e carnali, o ancora in peccati di pensiero, di parola, di azione e di omissione. La radice del peccato è nel cuore dell'uomo, nella sua libera volontà, secondo quel che insegna il Signore: “Dal cuore [...] provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che rendono immondo l’uomo" (Mt 15,19-20). Il cuore è anche la sede della carità, principio delle opere buone e pure, che il peccato ferisce.

Già la filosofia greca definiva il vizio come abito del male: non promuove la crescita interiore, nobile e spirituale ma al contrario la distruggono.

In seguito, la teologia cristiana orientale di scuola alessandrina definisce i vizi e prova a specificarli. E’ un lungo processo che prende spunto dai libri veterotestamentari e sopratutto dall’osservazione attenta dell’essere umano. Evagrio Pontico nel IV secolo, discepolo di Macario di Cesarea, come tanti monaci orientali segue le indicazioni neo-platoniche per cui l’uomo è composto di corpo, anima e spirito ciascuno elemento essendo servito da funzioni di tipo primario: appetiti, sentimenti e stati mentali. Da questa tripartizione i monaci del deserto hanno individuato nove pensieri (logismoi) cattivi, tre per ciascuna categoria prodotti dai vari appetiti. Per il corpo pensieri prodotti da appetiti nutritivi, sessuali e acquisitivi. Emotivi legati ad pensieri prodotti da stati emotivi: depressivi, irascibili e sprezzanti. In fine disordini mentali attribuiti a stati mentali quali gelosia, arroganza e presunzione.

Da qui un elenco ben preciso che stabilisce otto vizi scritti nelle Istituzioni cenobitiche di Giovanni Cassiano, il discepolo di Evagrio. Papa Gregorio Magno (590 cca) sistema l’elenco riducendoli a sei e ne aggiunge un settimo. Lascia dal greco, qui traslitterato, gastrimargia - gola, porneia - lussuria e filarghiria - avarizia ma unisce la lype (la tristezza per la fortuna altrui) con l’akedia (l’abbattimento, lo sconforto) in accidia e la kenodoxia (il vantarsi) con hyperephania (l’orgoglio) in superbia e ne aggiunge l’invidia.

Questi sette, numero simbolico, verrano ripresi e descritti minuziosamente da Tommaso D’Aquino e così arrivano fino ai giorni nostri, nel catechismo e nella nomenclatura dei gelati.

Il termine snobismo presumibilmente deriva della locuzione latina sine nobilitate (senza nobiltà); secondo questa teoria l’abbreviazione veniva posta accanto ai nomi, nelle liste degli studenti dei collegi inglesi, per evidenziare chi era un nobile e chi non lo era. Tuttavia, tale origine viene ritenuta infondata dal dizionario Treccani, che la attribuisce al termine antico inglese snob, originariamente ciabattino, utilizzato in seguito per persona inadeguata ad un ambiente colto e raffinato.

Per estensione il termine è utilizzato per identificare una classe di persone, anche di rango elevato, che ostentano altezzosità o disprezzo verso le classi o i gruppi di persone che considerano inferiori o plebee. Visto che si manifesta con eccessiva autostima e disprezzo per gli altri, l’atteggiamento snob potrebbe essere annoverato semplicemente nella galassia di atteggiamenti dettati dalla superbia?

Che sia solo una forma di disperazione oppure l’aureola della vanità come dicono alcuni non ci è dato a sapere.

Di fatto lo snobismo è inteso come un tipo di arroganza e di superiorità sociale. Gli snob sono persone che si considerano migliori degli altri, in base a fattori quali il loro status sociale, la loro istruzione, la loro ricchezza o il loro gusto. Spesso gli snob si mostrano arroganti e prepotenti, e possono essere molto critici nei confronti di chi non appartiene alla loro cerchia. Alcuni esempi di comportamento snob?

Guardare dall'alto in basso gli altri, ritenendoli inferiori. Fare battute o commenti offensivi nei confronti di chi non appartiene al proprio gruppo sociale. Ostentare la propria ricchezza o il proprio status sociale.

Mostrarsi arroganti e prepotenti. Criticare le scelte degli altri, ritenendole inferiori alle proprie.

Lo snobismo è dannoso perché può portare alla divisione e al conflitto tra le persone. Gli snob possono rendere difficile per gli altri sentirsi accettati e a proprio agio, e possono creare un ambiente ostile e discriminatorio. Se sei una persona snob, qualcosa tra il legittimo voler evolvere e dimenticarsi il punto di partenza è importante essere consapevole del tuo comportamento e cercare di cambiarlo. Ricorda che (forse) non sei migliore degli altri; ognuno ha i suoi punti di forza e di debolezza. Cerca di essere più rispettoso e aperto nei confronti di tutti.

Come sempre alcuni di questi pensieri possono provocare reazioni contrastanti, tutte legittime. Mi affretto a ribadire che nel mio scritto ogni somiglianza con persone e fatti reali è assolutamente casuale. Capita d’altronde con le prediche: quando si fa la disamina di temi enormi sempre qualcuno si sente tirato in ballo perché in fondo siamo tutti peccatori .

Mi hanno colpito alcuni commenti molto belli sul mio profilo Facebook. Maria ha scritto: molto spesso più o meno tutti ci mostriamo nei confronti degli altri in modo altero, dimentichiamo che l'umiltà d'animo è una grande virtù, essere nato benestante, aver avuto la possibilità di studiare, aver avuto la fortuna di nascere sano non sono meriti nostri e non ci danno il diritto di offendere chi questa fortuna non l'ha avuta. Per essere più buoni con gli altri bisognerebbe, ogni tanto guardarsi un po' indietro e ringraziare Il Signore e i sacrifici dei nostri genitori se oggi siamo ciò che siamo. Gennaro ha avuto un punto di vista complementare: molte volte dietro a comportamenti altezzosi si nasconde una grande insicurezza, proprio per nascondere i limiti di relazionarsi nel mondo più giusto.

Secondo Alessandro, chi è non ha motivo di ostentare alcunché. Chi ha un adeguato livello di istruzione sa che il suo sapere è una goccia nell'oceano dello scibile, questa consapevolezza ridimensiona l'ego e rende più umili non più altezzosi. Quella dello snob è la condizione di chi ostenta quello che non si è, un tentativo maldestro di dissimulare una realtà triste appartenente il più delle volte ai parvenu, per dirla alla francese. D'altro canto dire che siamo tutti uguali è a suo avviso, una grande ipocrisia ma ovviamente il parametro non è il censo, il titolo di studio o la dichiarazione dei redditi. Per Annamaria i sani principi non si compreranno mai con il Dio denaro ma sono impressi nel DNA e nessuno te li può levare e Stefania amaramente annota che le persone cattive dimenticano spesso del fatto che siamo di passaggio su questa terra.

Concludo con una domanda. Secondo voi, è giusto inserire lo snobismo tra i vizi del panorama contemporaneo? Potrebbe diventare un gelato? Se sì, oltre a degli ingredienti rarissimi e la lavorazione artigianale è d’obbligo la foglia d’oro edibile.

Elia Hagi
Autore: Elia Hagi

Studia a Roma filosofia e teologia e comunicazioni sociali e oggi svolge a Vaccarizzo Albanese il suo ministero sacerdotale. Diventato sommelier, segue con passione la rinascita del vino calabrese con un particolare interesse rivolto ai vini identitari Arbëreshë.