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 Il patrimonio culturale, le sinergie possibili e la governance circolare: la Carta del Patir

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C’è un luogo in Calabria, nella Sila Greca, dove dopo più di mille anni il tempo e il silenzio continuano ad insegnare il valore dell’incontro tra culture, tra mondi diversi, tra persone diverse e uguali nella stessa determinazione a fare e camminare insieme.

È la montagna sacra di Corigliano-Rossano, “rossastra muraglia di roccia”. Dove sorge quello che fu il più ricco e rinomato cenobio-chiesa italo-greco dell’Italia meridionale, il complesso abbaziale basiliano di Santa Maria del Patir.

È qui che la cultura greco-bizantina e la cultura latina si sono fuse armoniosamente. Qui troviamo i segni di una “sensibilità” bizantina, ma anche normanna ed araba condivisa; la testimonianza della naturale filoxenìa dei calabresi, la propensione all’accoglienza, all’ospitalità, alla convivenza, al rispetto della diversità.

È qui che i monaci basiliani, eremiti e asceti, imprimono la traccia di quello che sarebbe stato il processo di cambiamento della Calabria nel buio del Medioevo, nella sfera religiosa così come in quella economica e sociale., in una Calabria quasi in controtendenza.

Ed è sulla sommità di questo monte che si incontrano, da sempre,  le comunità dei due versanti opposti, quella di Rossano e quella di Corigliano, le quali trovano in questo luogo una loro sintesi all’interno di un sito di rilevante importanza culturale per la storia della civiltà mediterranea e dell’umanità, attorno ad un rito legato alle celebrazioni di maggio in onore della Madonna del Patire.

Storie che si intrecciano, patrimoni che si parlano, storie che devono essere raccontate, conosciute, valorizzate, promosse.

In questo luogo ci eravamo incontrati in tanti, lo scorso anno, in una due giorni straordinariamente ricca e piana di contenuti organizzata dall’associazione Rossano Purpurea in collaborazione con il Raggruppamento Carabinieri Biodiversità, che lo custodiscono.

Un confronto serrato ed intenso nato da un’iniziativa bottom up, dal basso,  legato ad un significativo lavoro di approfondimento di Alessandra Mazzei Donatella Novellis e Mariella Arcuri, che hanno ben chiari i principi e il significato di partecipazione comunitaria e di comunità d’eredità.

Un’agorà significativa, un “tavolo circolare” di quelli che prediligo, che anche Hugues de Varine apprezzerebbe molto: comunità, soggetti istituzionali, Ministero sul territorio , università, esperti, decisori politici, operatori ed imprensitori della cultura.  Insieme allo stesso “tavolo circolare”, con una consapevolezza fuori dal comune e la determinazione ad andare oltre le “giornate di studio” e le parole “potenzialità” e  “resilienza”, sulla base di un approccio multidisciplinare e gli apporti, preziosissimi, di tutti.

Avevamo anche trattato il tema, complesso e spesso sfuggente, dei percorsi Unesco, continuando il lavoro cominciato qualche settimana prima nel Salone degli Stemmi del Palazzo Curiale di Rossano insieme al prof. Francisco Javier Lopez Morales - esperto di fama internazionale e mio prezioso Maestro - e avevamo condiviso l’idea dell’importanza dell’insegnamento che ne potrebbe derivare: percorsi Unesco come obiettivi eventualmente  finali di processi di consapevolezza, conoscenza, tutela, conservazione, valorizzazione, promozione e trasmissione alle giovani generazioni e  come modelli e strumenti nei processi di sviluppo strategico dei territori, non solo di quelli che già vantano siti ed elementi riconosciuti dall’agenzia onusiana. Questo è il modo giusto. La strada che abbiamo cercato di tracciare insieme in questi anni, da quando la dottoressa Bellisario dirigeva molto brillantemente il Sevizio Unesco del Ministero della Cultura.

Lo scorso anno avevamo espresso perplessità rispetto al fatto che la Calabria, e ancora oggi, a 50 anni dalla Convenzione del ‘72, non abbia un “suo” riconoscimento di lista, al di là delle due aree di faggete vetuste nel contesto di candidature transnazionali. Non è sufficiente avere un titolo al punto 4 nella Tentative List italiana: “La Cattolica di Stilo e i complessi basiliano-bizantini”, addirittura dal 2006. I fascicoli si devono riempire di contenuti, di percorsi, di progetti, di persone, di finanze. Serve l’attenzione del territorio, una comunità capace di recepire il suo ruolo di spinta, soggetti istituzionali sensibili, uffici centrali in ascolto.

Una disattenzione immeritata per un patrimonio culturale, quello della Calabria, straordinariamente ricco, importante, stratificato, variegato. E, al di là dei titoli entusiastici e di buon auspicio di qualche giornale (la materia Unesco vola, a volte, in punta di penna) ci siamo detti che da quel monte saremmo partiti, seguendo le tracce del passato per dare gambe e concretezza alle buone idee e alle suggestioni di quel luogo che ci ricorda che c’è una Calabria grandiosa della quale in pochi parliamo, che non conosciamo, che abbiamo il dovere morale e politico di far riemergere da narrazioni a senso unico che non ci piacciono e che oscurano il vero spirito e la bellezza di questa regione, pur ancora lontana dall’Europa ma al centro della storia del Mediterraneo, che è storia di civiltà, soprattutto.

Oggi comincia la seconda, ricchissima edizione, del Patir. Un’edizione ancora più aperta, un tavolo di discussione variegato che non può non produrre, quest’anno, un concreto approccio sistemico e integrato alla tutela, salvaguardia, valorizzazione e promozione del patrimonio di questo luogo, del suo territorio e - attraverso il bellissimo progetto sui percorsi niliani al quale lavora un qualificato team coordinato dall’ottimo Claudio Bocci- dell’intero territorio calabrese.

Sono sempre più convinta, forte anche delle esperienze di questi anni sul campo e dall’esperienza sui temi della gestione dei Patrimoni Unesco, che serva non una promessa di impegno, ma un impegno concreto, fattivo, istituzionalizzato. Questo approccio si è consolidato negli ultimi anni proprio sulla base dell’intreccio tra i contributi degli ambienti scientifici, intellettuali e istituzionali e la percezione del patrimonio culturale quale imprescindibile valore di elemento identitario, riferibile in tutte le sue espressioni e tipologie alle “comunità d’eredità”. Un patto straordinario, che ha un esempio molto convincente nel progetto di valorizzazione del Museo e del parco archeologico nazionale di Capo Colonna, in Calabria. Filippo Demma e Marco d’Isanto, un team di funzionari ed esperti, la “comunità” delle associazioni territoriali. Il pubblico e il privato, questo è il futuro della tutela coniugata alla salvaguardia del patrimonio culturale.

Guardiamo, perciò, con ottimismo al lavoro che andremo a fare insieme e che stigmatizzeremo, se vorrete, nella Carta del Patir, le cui linee guida saranno la sintesi delle nostre riflessioni, dei nostri approfondimenti, la proiezione delle radici del passato nel futuro che la Calabria merita.

Patrizia Nardi
Autore: Patrizia Nardi

Patrizia Nardi è storica dell’età contemporanea, dottore di ricerca in Storia moderna e public historian nel campo del patrimonio culturale. Dal 2010 ha svolto un’intensa attività nel campo della valorizzazione del patrimonio culturale italiano, ideando e coordinando progetti di candidatura UNESCO. Tra questi, le Feste della Rete delle grandi macchine a spalla italiane Patrimonio dell’Umanità nel 2013, indicata dal Comitato Intergovernativo UNESCO come “modello e fonte di ispirazione”. Ha coordinato il gruppo italiano per il riconoscimento nel The Memory of the World Programme UNESCO del Codice Fiorentino. È crew member del Comitato scientifico del patrimonio culturale immateriale UNESCO di ICOMOS. È responsabile tecnico-scientifico dei progetti di valorizzazione nazionale ed internazionale finalizzati alla presentazione di una candidatura UNESCO