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Il gene del bizantinismo e quella capacità di rimanere fermi, immobili sui dettagli

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Il compianto professore Filippo Burgarella, il più grande tra gli studiosi di storia e civiltà bizantina, un giorno di otto anni fa, intervenendo ad un dibattitto sul Codex tenutosi a Lido Sant’Angelo, disse che Rossano ed il suo territorio, pur conservando intatte le tracce del passaggio dell’Impero di Bisanzio, non custodivano più nulla di quello che fu l’animo, l’ingegno, la cultura, lo spirito, l'estro, l’indole stessa del periodo bizantino, fatto di ricchezza, di quella capacità di saper guardare oltre, del piacere del bello, di saper costruire e innovare, credere e costruire magnificenze. Nulla. Ci sono rimasti solo i monumenti, le orme e il ricordo (forse nemmeno la memoria) di quel lungo passaggio.

Sommessamente, nel raccontare quotidianamente le sorti di questo angolo di terra, di quella che da sempre viene considerata l’altra Calabria, quella del nord-est, distinta e distante dalla vera Calabria che si estende dal lago di Tarsia verso sud, spesso penso che – in realtà – i bizantini, oltre al grandioso patrimonio storico-culturale che ritroviamo in quasi ogni angolo del territorio, ci hanno tramandato un unico e solo gene, quello più ostico, di cui – forse – avremmo fatto volentieri a meno: quello del bizantinismo. Cioè, la spigolatura capziosa nell’argomentare, nel discutere che poi, altro non è che l’atteggiamento tipico di chi eccede in sottigliezze e complica inutilmente i problemi. Non solo, ne perde di vista finalità e obiettivi per finire nei meandri delle cose inutili.

Questo atteggiamento vi ricorda qualcosa? A me che ho 40 anni e appartengo a quella Generazione 80 di “orgogliosi diseredati”, sinceramente, fa venire in mente le tante, tantissime opportunità che ci sono passate sotto al naso e che la politica bizantinista e nostrana, con la complicità partecipe del mutismo della popolazione, che ha preferito sempre la delega alla partecipazione, non ha saputo e voluto cogliere. Proprio perché i dettagli (inutili) hanno sempre prevalso sulla sostanza. E mentre discutevamo e parlavamo dei mille e uno modi, mai concretizzati, per far fiorire e valorizzare la nostra agricoltura d’eccellenza, in questo territorio ci piazzavano mega discariche e sotterravano rifiuti tossici. Mentre ci ingegnavamo a mettere su infinite congetture su come rilanciare uno dei porti più grandi del Mediterraneo, quello di Schiavonea, altri porti, originariamente più piccoli, sono diventati gli hub del transhipment mondiale. Abbiamo barattato una sede universitaria con strade di campagna (utili ma senza visione e prospettive); abbiamo avuto l’abilità di farci chiudere uno tra i primi tribunali istituiti in Calabria, soffermandoci sui dettagli e andando (forse troppo tardi) al cuore del problema. Non siamo mai stati bravi ad ottenere servizi che si adeguassero al “passo dei tempi”, rimanendo inesorabilmente indietro. E questo solo perché la paura del millesimale dettaglio sbagliato ci ha fatto perdere di vista l’intero complesso delle cose.

Ed i rischi oggi, che possano passarci sotto al naso altre potenziali opportunità, continuano ad esserci. Proprio perché il gene del bizantinismo continua a veleggiare nell’animo della politica cittadina. Allora la domanda è: una nuova strada a 4 corsie, una centrale di produzione dell’Idrogeno verde, un parco fotovoltaico offshore a 10 miglia a largo della costa, una sede universitaria distaccata per l’Agricoltura e il Turismo, la stessa fusione di Corigliano-Rossano rappresentano un’opportunità per creare sviluppo o sono il momento ideale per creare scontri, frizioni, minuziose polemiche che virano verso il nulla?

Ancora oggi, ad esempio, sul territorio si anima la discussione sulla realizzazione del Megalotto 8 della Statale 106, l’autostrada tra le colline di Corigliano-Rossano e del Basso Jonio, quando tutti, a tutti i livelli, hanno detto e confermato che quel progetto è irrealizzabile, per costi, utilità e impatto ambientale. Si facciano – come finalmente qualcuno ha capito di fare dopo due anni di parole – obiezioni utili sul reale, sul possibile e non sull’irrealizzabile.

Si discute da decenni su come rilanciare l’area industriale di contrada Cutura e il Porto, possibile mai che tutte le soluzioni, messe sul tavolo negli ultimi 20 anni, hanno tutte un risvolto carico di sospetto? Possibile che non si riesca a fare di opportunità virtù? Ci rendiamo conto che questo territorio sta morendo perché ci sono sempre meno famiglie, e quei pochi che nascono qui crescono con la mentalità che a 18 anni devono andare via, da una terra che non riesce a restituire nulla pur avendo infinite possibilità e opportunità di sviluppo? Possibile che ci sia sempre qualcuno pronto a prevalere nell’opinione pubblica infondendo sospetto ad ogni novità? Ma soprattutto i pochi, le élites che imperano sul “pensiero unico” jonico da decenni, come vedono proiettata questa terra nel futuro? Chi e quanti saremo fra 10 anni?

Marco Lefosse
Autore: Marco Lefosse

Classe 1982, è schietto, Idealista e padre innamorato. Giornalista pubblicista dal 2011. Appena diciottenne scrive alcuni contributi sulla giovane destra calabrese per Linea e per i settimanali il Borghese e lo Stato. A gennaio del 2004 inizia a muovere i passi nei quotidiani regionali. Collabora con il Quotidiano della Calabria. Nel 2006 accoglie con entusiasmo l’invito dell’allora direttore de La Provincia, Genevieve Makaping, ad entrare nella squadra della redazione ionica. Nel 2008 scrive per Calabria Ora. Nell’aprile 2018 entra a far parte della redazione di LaC come corrispondente per i territori dell’alto Jonio calabrese. Dall’1 giugno del 2020, accoglie con piacere ed entusiasmo l’invito dell’editore di guidare l’Eco Dello Jonio, prestigioso canale di informazione della Sibaritide, con una sfida: rigenerare con nuova linfa ed entusiasmo un prodotto editoriale già di per sé alto e importante, continuando a raccontare il territorio senza filtri e sempre dalla parte della gente.