L’emorragia di giovani si può fermare. Servono servizi, opportunità e consapevolezza
L’ultimo rapporto Istat sulle migrazioni interne non ci racconta nulla di nuovo: la Calabria è la terra dalla quale si “scappa” di più. E qual è la meraviglia? La consolazione è che abbiamo tutti gli strumenti per bloccare questo fiume
Ogni anno circa 15.200 calabresi lasciano la loro terra per andare a trovare nuova vita al Nord. È un dato allarmante che l’Istat, ormai, ci ricorda puntualmente ogni anno attraverso i suoi report. L’ultimo, pubblicato la scorsa settimana, ha tratti allarmanti per tutto il meridione, dove la Questione Meridionale (e questa è una delle prove inconfutabili della sua esistenza) continua a mietere povertà e a generare una costante emorragia di cittadini, soprattutto di giovani. Che lasciano per sempre il loro suolo natio per trasferirsi al Nord. Ma se tutte le altre regioni del Sud in qualche modo iniziano a reagire – seppure timidamente - a questo fenomeno ormai secolare la regione che non sembra avere alcun freno è la Calabria.
Purtroppo non ci meraviglia nulla. È una costante e forse è diventata anche una moda arrivare alla maturità per poi andare via. Quasi come fosse diventata una coscienza di massa. Ed è questo il pericolo. Perché in molti vanno via dalla Calabria senza aver esplorato nulla in questa regione con la sola convinzione che qui non c’è futuro… per poi scoprire, amaramente, che oggi nemmeno il settentrione offre più le possibilità d’un tempo. Ma questa è una questione culturale, importante ma non certo prioritaria se prima nella nostra terra non vengono affrontate, aggredite e risolte alcune questioni che accelerano il processo di abbandono - che diventa in molti casi oicofobico - dei suoi abitanti.
La domanda da porsi è “perché”? E le risposte a questo interrogativo sono quanto di più scontato possa esserci.
La prima risposta si trova nella carenza di servizi. Non si può vivere in una regione dove spostarsi è un’impresa, dove le distanze europee qui sono abissali e dove vengono persi fondi a iosa per tutti gli obiettivi di convergenza, su tutti quelli per le infrastrutture utili. In passato abbiamo peccato di lungimiranza (e purtroppo continuiamo a sbagliare ancora oggi nonostante gli orrori pregressi) abbiamo speso miliardi prima di risorse per realizzare cattedrali nel deserto disconnesse dal mondo e che oggi non riescono ancora ad esprimere il loro potenziale. Di grandi e piccoli esempi ne abbiamo a iosa anche attorno a noi, si guardi il porto di Corigliano-Rossano come emblema di questo fallimento di visione. Quindi, punto primo, servizi e infrastrutture utili, efficaci ed immediate.
Poi c’è la questione delle opportunità che mancano. E se mancano opportunità vuol dire che manca impresa e manca lavoro. Mancano ancora strumenti e una coscienza civica per debellare la criminalità soffocante, perché qui, per certi versi, siamo ancora fermi all’età del brigantaggio. Se non ci sono opportunità perché un giovane dovrebbe rimanere a vivere qui, in mezzo ad una società che non privilegia il merito? Allora, non basta creare solo servizi ma bisogna dargli contenuti validi. Spesso sulle nostre bocche ricorre una espressione amara: “Negli ospedali del nord ci lavorano medici bravissimi che sono tutti meridionali”. È verissimo, ognuno di noi lo ha sperimentato sulla propria pelle. E se quei medici hanno preferito spostarsi di mille kilometri da casa loro per trovare una dimensione lavorativa è solo perché non hanno avuto l’opportunità di farlo nella loro terra, nella loro regione. Ecco, perché, se costruiamo un nuovo grande ospedale e lo finalizziamo esclusivamente all’assemblaggio o centralizzazione dei servizi non avremo risolto nulla. Nuovi ospedali in territori afflitti dallo spopolamento e dalla migrazione di giovani devono essere sinonimo di eccellenza. Così come – e ne abbiamo parlato in questa settimana – come può una regione come la Calabria piena, stracolma, impregnata totalmente di storia passata ancora tutta da scoprire, da portare alla luce e essere raccontata non avere un corso di studi universitario prettamente incentrato all’Archeologia? È normale che i nostri giovani o si “accontentano” di fare altro oppure partono per non tornare mai più.
E poi, infine, anche la migrazione dei popoli meridionali rappresenta una inequivocabile questione di consapevolezza. Noi del Sud, noi Calabresi non abbiamo la cognizione di quello che siamo, delle nostre potenzialità, delle nostre innumerevoli risorse. O meglio le conosciamo, ma le sappiamo così male che pensiamo di poter fare tutto per poi accorgerci che non possiamo fare nulla. L’ennesimo esempio emblematico arriva sempre dalla Sibaritide. Una terra in cui convivono potenzialità turistiche incredibili, un patrimonio agricolo da fare invidia a mezzo mondo e una discreta capacità industriale di qualità che potrebbe fruttare dieci volte tanto se solo venisse messa nelle condizioni di poter operare (attraverso servizi e opportunità!). Eppure queste tre risorse, invece, di essere messe in rete sinergicamente per creare profitto, sono state contrapposte l’una all’altra tanto da essere l’una ostacolo dell’altra. Ed è così che a Corigliano-Rossano non si sono potute sfruttare le potenzialità industriali di Enel perché altrimenti si sarebbero inficiate le vocazioni agricola e turistica del territorio, dimenticando che in Germania attorno alle centrali elettriche crescono le più importanti coltivazioni d’ortaggi d’Europa o che nella non lontana Civitavecchia una centrale a carbone da anni convive pacificamente con uno degli hub crocieristici più importanti al mondo. Ecco perché la consapevolezza di sapere chi siamo e di saper dare valore ad ogni potenziale di sviluppo creerebbe opportunità e un nuovo futuro.
Contrariamente a quanto si pensa, non siamo una regione senza speranza. Paradossalmente abbiamo anche gli strumenti per invertire la rotta e bloccare l’emorragia di chi va via per sempre. È solo una questione di volontà e capacità di fermare questo treno e girarlo sui binari.