Ferragosto non è la fine dell’estate. Una consapevolezza per rilanciare il turismo del mare… e della montagna
Un retaggio che ci portiamo dietro dalla cultura dell’emigrazione. Un tempo il 15 agosto sanciva la fine delle ferie per tanti calabresi espatriati che, così, lasciavano la loro terra d’origine e ritornavano nei luoghi di lavoro. E tutto finiva…
Ho un ricordo nitido di quando ero bambino (non moltissimi anni fa…). La sera di Ferragosto, dopo una giornata trascorsa con zii e cugini alla grande tavola della nonna, imbandita di ogni ben di Dio, e dopo aver preso parte ai diversi “riti” della festa patronale dell’Achiropita, tutti insieme ci ritrovavamo nel loggione della casa materna. Ognuno seduto sulla sua sedia e i più piccoli, come me, sulle gambe del papà. Tutti aspettavamo lo spettacolo pirotecnico che di lì a poco, dalla collina della Santa Croce, avrebbe illuminato la notte più bella dell’estate e il centro storico di Rossano.
La sensazione era quella che si prova alla prima di un film, ma invece che uno schermo gigante avevamo difronte un cielo pieno di stelle. Bellissimo. Lungo la strada che conduce al colle della Santa Croce, un biscione d’asfalto lungo, stretto e raggomitolato, visibile da ogni angolo di Rossano, erano piazzate (così come avviene ancora oggi) le batterie di cannoni che di lì a poco avrebbero sparato in aria i fuochi artificiali preparati dai sapienti maestri fochisti della famiglia Golluscio. Su quella stessa strada una fila lunghissima di auto che stavano lì, non senza pericoli, ad attendere lo spettacolo.
In una di quelle sere, allora, chiesi a mio papà: «Cosa fanno lì quelle macchine?» E mio papà, con un velo malinconico, mi rispose che quelle erano le auto di chi stava andando via. Dei rossanesi emigrati. Che erano tornati dalla Germania, dalla Francia, dal Nord Italia per trascorrere le loro ferie a casa loro e che subito dopo i fuochi d’artificio, approfittando della notte, sarebbero andati via, ritornando nei loro luoghi di lavoro. E infatti, il giorno dopo, per chi come me continuava ad andare al mare, le spiagge iniziavano a svuotarsi incredibilmente.
Insomma, il 16 agosto dalle nostre parti era finita l’estate. Chi aveva la fortuna di avere una casa in montagna andava a “svernare” lì, ma per il resto sul lungomare la sera non c’era più nulla.
Da vent’anni a questa parte il trend sembra essere cambiato, ma non è cambiata la mentalità. Da noi il turismo prevalente continua a rimanere quello dei compaesani di rientro. E a tenere alta la bandiera della festa e dell’estate sono gli universitari che, abituati ai ritmi del resto del mondo (e in questo caso evviva la globalizzazione!), hanno costretto l’economia turistica a “dilatare” di altri 15 giorni l’estate.
Resta il fatto, però, che mentre in altre parti del meridione, nemmeno molto lontane da noi, la stagione balneare termina ad ottobre inoltrato (e inizia a fine aprile), da noi l’1 settembre l’estate è già un ricordo nostalgico. Nonostante si possa godere ancora di giornate lunghe e calde da dedicare al mare.
E questo lo hanno capito anche i turisti (quelli veri) che interpretando una nostra mentalità, probabilmente distorta e ancora fin troppo arretrata del concetto estate, preferiscono altre mete. Eppure negli altri 40 giorni (che sono tantissimi) di stagione estiva avremmo la possibilità di offrire ai nostri ospiti non solo le spiagge ed un mare pulito ma anche la montagna che si trova davvero a due passi. Non lo facciamo perché abbiamo paura di rischiare. Preferiamo, commercialmente parlando, fare incasso sul “sicuro” dell’alta stagione, tralasciando tutto il resto che – invece - potrebbe essere tutto di guadagnato anche a prezzi modici, competitivi e convenienti. Insomma, ci accontentiamo di far pagare all’incirca 8 euro una colazione (caffè, latte di mandorla e cornetto) a ferragosto per poi chiudere a settembre e andare anche noi in ferie (ovviamente). E rimanerci per gli altri 10 mesi dell'anno... Se funziona è bellissimo. Ma non è così. Perché se ogni anno ci lamentiamo che di "turisti" ce ne sono sempre meno, un motivo ci sarà. Qui non tornano, qui vengono una volta ed è difficile che replichino: l'offerta è parca e salta.
Tutto questo nella totale assenza di consapevolezza del potenziale che, invece, potremmo esprimere offrendo tanto a prezzi modici e convenienti per tutti. Cambierà? È solo questione di cultura