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«C’è ancora spazio per un Natale che trascini questa umanità confusa e disorientata sulla strada della speranza?»

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Non possiamo certo affermare che queste giornate che precedono il Natale, siano, come accadeva in passato, caratterizzate da un clima di serenità e di concentrazione su una festività che ricorda un evento, appunto la nascita del Bambino Gesù, che ha sconvolto e cambiato la storia dell’umanità.

La pandemia continua a non dare tregua e non ha per nulla chiuso i suoi battenti, anzi, sembra che, in queste ultime settimane, ce la stia mettendo tutta per accrescere l’area degli infettati e la sua, già alta, capacità e velocità di contagio. I problemi legati alla ripresa economica, che vanno ben oltre l’apparente confortante 6% del Pil, non cessano di preoccupare. Infatti, il numero di coloro che, in questi due anni, hanno perduto il lavoro o non lo hanno trovato, continua a crescere, mostrando aspetti inediti di una povertà e di una indigenza che non possono essere coperte dalla bontà delle cifre, che premiano solo i piani alti di questa società, lasciando nel guado le categorie meno abbienti.

Il clima, si capisce, non è dei più allegri, e le luminarie sparse in tutto il Paese non riescono a mitigare e a trasformare il clima di tristezza e di incertezza che caratterizza, ormai, fasce sempre più infoltite della popolazione italiana, in allegria ed esuberanza. Però, nonostante l’accresciuta povertà di milioni di disoccupati e di inoccupati, traspare, in maniera ancora più marcata, il desiderio degli stessi di andare incontro a questo Natale, con la speranza che tutti questi problemi, insieme alle tante situazioni di ingiustizia, trovino una risposta o, comunque, un risvolto positivo.

Forse, ci sarebbe bisogno di un miracolo, e, in fondo, il Natale è per eccellenza la festa della speranza, proprio perché l’Eterno ha fatto irruzione nella storia degli uomini e l’ha riscattata dal peccato. Una speranza, però, che non funziona come una lotteria né come un bonus, ma che va costruita e accompagnata giorno per giorno con atteggiamenti e scelte di solidarietà, di generosità e di responsabilità nei confronti di quegli “ultimi” che, ormai, rappresentano il prodotto finito di questa irriconoscibile società globalizzata. Ad alimentare, poi, questo clima di disagio e di disorientamento c’è anche chi, a livello istituzionale, in questi ultimi tempi, sta cercando di tentare di svalutare e di banalizzare una festa che esprime identità e valori che promuovono l’uomo.

La recente direttiva europea, infatti, tutta incentrata sulla presunta volontà di non offendere chi appartiene ad altra religione e ad altra cultura, ritirata per fortuna, perché a prevalere è stato il buonsenso, avrebbe “consigliato” di non utilizzare espressioni come il Natale o nomi afferenti l’esperienza cristiana, per non urtare la suscettibilità di appartenenti ad altre religioni.

Un modo davvero strano di concepire la libertà e il confronto con altre culture. Mentre fino a qualche tempo fa si pensava alla valorizzazione delle diversità, oggi si preferisce rinunciare alla propria storia alla propria cultura per favorire un confronto e una integrazione neutri. I segnali di cui ha bisogno, invece, questa nostra società confusa e ripiegata su se stessa, riguardano, appunto, la consapevolezza dell’appartenenza ad una storia e ad una cultura che non si contrappone a nessun’altra, ma si offre come elemento di congiunzione e di cooperazione col resto dell’umanità, e questo modo di ragionare si chiama civiltà.

Il periodo natalizio, quindi, che stiamo vivendo, pur non essendo dei più tranquilli, non può essere vissuto con superficialità, esitazioni o pregiudizio. Per questo, dovremmo attraversare questo tempo di avvento con la prospettiva di recuperare quella dimensione del nostro essere che ci appartiene e che ama la coniugazione di espressioni e di valori come l’amore, la fratellanza, la solidarietà e la pace. Ed è proprio di tutto ciò che questo mondo ha bisogno, per ritrovare se stesso e per riuscire a trovare la forza e il coraggio di trasformare questo momento di frantumazione e di collasso in momento di coesione e di unità attorno a valori che non possono essere messi in discussione, ma posti come pietra miliare dello spirito e della cultura di cui si fa portatore il Natale.

Salvatore Martino
Autore: Salvatore Martino

saggista, storico e ricercatore, autore di diversi articoli, contributi e saggi su temi meridionalistici e di attualità politico-sociale. Direttore del Centro Studi Rossanese Vittorio Bachelet, ha come principale interesse la storia politica e istituzionale italiana del XIX e XX secolo. Ha pubblicato il volume di AA.VV. “Amintore Fanfani – l’uomo, lo statista e le sue radici” (2009), i libri “Aldo Moro. Il seme amaro della speranza” (2012), “La Città inquieta” (2015) su Giorgio La Pira, il volume a più voci “Memorie di una città nascente” in occasione della fusione tra le città di Corigliano e di Rossano, pubblicati con Ferrari Editore. Collabora con la rivista QUADERNI del Movimento Letterario Artistico Internazionale “UniDiversità” di Bologna. Negli ultimi tempi, i suoi interessi si sono estesi alla poesia. Ha, infatti, pubblicato, nel 2019, con la Casa Editrice Tau “…E non riuscimmo a riveder le stelle” e nel 2021 “I traffici dell’anima nelle strettoie del coronavirus”.