Fu la Panaghia la prima chiesa di Rossano? C'è un indizio storico
Terza ultima tappa del trittico di storie raccolte dallo storico Giovanni Russo attraverso la rilettura del βίος di S. Nilo e gli studi del Prof. Filippo Burgarella
Nella seconda parte del racconto storico è stato mostrato che sotto il toponimo di Rossano rientravano una città, una fortificazione e un centro portuale, distanti fra loro. In virtù di questa novità è stato possibile ripercorre la storia dell’edificazione di alcune chiese.
di Giovanni Russo
Tra il VI e il VII secolo, durante il consolidamento del Ducato di Calabria, all’interno del Tema bizantino di Sicilia, era ben marcata l’identità della polis (città) che, simile al kastron, si distingueva nettamente dal phrourion (fortezza). Tale distinzione era esplicitata già in un corposo compendio militare di epoca giustinianea, il De re strategica o Peri strategikès, attribuito a Siriano Magister, l’«Anonimo bizantino del VI secolo», che, oltretutto, lasciava trasparire l’identificazione della polis col kastron, in quanto quest’ultimo, come piccolo abitato fortificato, era suscettibile, con il tempo, di divenire polis o civis, quindi città, ma con alcuni particolari requisiti: le mura di cinta, esattamente le mura di cui si muniranno presto tutte le città italiane[1].
Polis e kastron, inoltre, risultano affini e distinti dal phrourion anche in un’altra importantissima opera del tempo: il cosiddetto Strategikòn dello pseudo-Maurizio[2]. Per semplificare si può dire che, se il phrourion è la fortificazione bizantina, il kastron, da esso distinto grazie alla sua affinità con la polis, è l'abitato, il borgo di recente traslazione, fondazione o semplice ampliamento, cinto di mura e corrispondente alla civitas latina.
Considerando i principali monumenti storici della città, quanto fin qui esposto ci induce a supporre che solo alcuni di essi potrebbero risalire all’epoca in cui Rossano era un phrourion. Verosimilmente a quell’epoca non apparteneva la cattedrale che, pur presentando, la sacra e vetusta immagine dell’Achiropita e taluni elementi di risulta di arte romanica, appare in veste barocca e reca testimonianze architettoniche di chiaro stampo gotico. Con tutta probabilità, è la Panaghia la chiesa più antica della città. La sua edificazione potrebbe essere avvenuta non molto più tardi della trasformazione dell’antico fortilizio romano in phrourion bizantino, in maniera del tutto analoga a quanto avvenne nei principali phrouria longobardi di Sassone, tra Morano e San Basile, di Mercurio e di Raiona in quel di Orsomarso. Questi, infatti, contenevano tutti una chiesa con fattezze riconducibili a quelle delle numerose chiese esistenti nell’eparchia monastica del Mercurion: pianta rettangolare, monoabsidata, navata unica, tetto a doppia spiovente e ingresso laterale.
Così, infatti, oltre alla Panaghia e a Santa Maria del Pilerio a Rossano, si presentano i resti delle due chiesette all’interno della cinta muraria di Sassone, una delle quali intitolata a San Leo secondo Biagio Cappelli[3], le chiese di Santa Maria di Mercuri e di Santa Maria di Raiona ad Orsomarso[4], di San Nicola dei Greci a Scalea[5], di San Pietro de Marcaniti a Papasidero[6], di Santa Filomena a Santa Severina e di San Giovannello a Gerace.
La chiesa della Panaghia di Rossano, inoltre, presenta dei caratteristici archi a fungo a completamento delle sei finestre laterali e della porta attraverso la quale si accede dalla nave al vano postumo che affianca la sua parete di sinistra. Tali finestre ricordano quelle della chiesa di San Pietro lo Grasso, un tempo S. Pietro de’ Marcaniti, a Papasidero.
Difficilmente attribuibili allo stile romanico, essi costituiscono gli elementi distintivi di uno stile architettonico di importazione gota, riscontrabili solo in Spagna, nelle chiese che gli esperti classificano come protoromaniche visigote[7].
[1] In effetti, il De re strategica o Peri strategikès è solo una delle tre sezioni di cui si compone un manuale di strategia militare di epoca giustinianea, attribuito a Siriano Magister, autore conosciuto fino al secolo scorso come Anonymus Byzantinus. Ora edito in Three Byzantine Military Treatises, ediz. A cura di G. T. Dennis, Washington, D.C., 1985, il manuale militare, si riduce a tre sole sezioni sopravvissute: un trattato, Περὶ Στρατηγικῆς o De Re Strategica, sulla guerra per terra, un trattato sulle arringhe militari (titolo moderno: Rhetorica Militaris) e la Naumachia, sulla guerra navale (Ναυμαχίαι Συριανοῦ Μαγίστρου). Al suo interno si ha la distinzione tra città, polis (πόλις), e fortezza, phrourion (φρούριον) e non compare il termine kastron, i cui requisiti sono assimilati dalla polis.
[2] Cfr. Das Strategikon des Maurikios, ediz. a cura di G. Dennis, Wien 1981 [Corpus Fontium Historiae Byzantinae, 17], I, 6, p. 94; I, 7, p. 98. Lo Strategikòn è attribuito a Flavio Maurizio Tiberio (539-602), imperatore bizantino dal 582 fino alla morte. Si tratta di un compendio della fine del VI secolo diviso in dodici libri, in cui sono trattati tutti gli aspetti della guerra contro gli Avari (580-590). Il testo risulta particolarmente utile, in quanto, oltre ad un'analisi dei modi di combattere, dei costumi e dell'habitat dei principali nemici dell'Impero bizantino, offre particolareggiate istruzioni sulla fondazione di città e fortificazioni.
[3] Biagio Cappelli, Un gruppo di chiese medioevali della Calabria settentrionale, in «Archivio Storico per la Calabria e la Lucania», VI, 1936, p. 54.
[4] Cfr. Giovanni Russo – Pietro Rotondaro, Guida ai monasteri del Mercurion, Rubbettino, Soveria Mannelli 2016.
[5] Cfr. Amito Vacchiano – Antonio Vincenzo Valente, San Nicola dei Greci a Scalea. La cappella bizantina tra arte e storia, Salviati, Milano 2006.
[6] Giovanni Russo, La solitudine rocciosa, Ferrari, Corigliano-Rossano 2023, pp. 166-198.
[7] Ivi, pp. 194-198.