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Ci sono Santi facili e Santi difficili. Ecco il "mio" San Nilo

5 minuti di lettura

Ci sono Santi facili e Santi difficili.

So che questa affermazione potrebbe fare aggrottare le sopracciglia a tanti, ma credo che San Nilo, il “nostro” San Nilo, possa rientrare nella categoria dei secondi.

Penso al carattere sfuggente che ancora caratterizza la sua figura per tanti, non essendo facile, accessibile ai più, definirne la grandezza.

Penso alla difficoltà, per noi figli di una cultura oggi più latina che greca -sic est!-, di comprendere a pieno i tratti di quel monachesimo orientale per alcuni aspetti tanto arduo e distante da noi.

Penso alla severità e al rigore dei tratti della sua personalità, per come ci sono stati restituiti dalle fonti, dal Bios innanzitutto, sebbene di tale opera, nel bene e nel male, sia raccomandabile (e sia stata raccomandata da tanti studiosi in questi ultimi decenni) un’interpretazione consapevole del carattere anche topico e convenzionale di tanti episodi narrati. Un’agiografia di pregio e bello stile, un importante quadro per lo spaccato anche storico dell’epoca e del personaggio, ma, al contempo, per dirla con l’autorità del compianto professore Pretagostini, anche uno scritto da leggere un po’ come un romanzo.

Ma se del nostro San Nilo, forse, non si è ancora creata nei secoli una piena popolarità; se, per quanto stimato, studiato e sempre più rivalutato e apprezzato dagli ambienti colti degli accademici, non è sentito ancora -diciamocelo!- troppo vicino e familiare dalla nostra comunità, credo possa essere, oltre che per quanto sopra ipotizzato, anche, o soprattutto, per una ragione molto banale. Ed è che di San Nilo, in realtà, a Rossano, sua città natale, non vi è nulla di tangibile, visibile; nulla di fisico. Nulla che parli davvero di lui.

Qualche quadro; la chiesa a lui dedicata, ma in tutto secentesca; la statua bronzea collocata all’ingresso del centro storico, in piazza Matteotti, in occasione del Millenario della morte. Il nome Nilo che si perpetua -sempre più raramente, in realtà-, nell’onomastica locale. Ma nulla di suo. Nulla di toccato, fatto, vissuto da lui. Solo qualche opera votiva in suo onore, nata nei dieci secoli che da lui ci separano.

Ci sarebbe in realtà la casa natia di San Nilo, al secolo Nicola Malena, ma, se non fosse per la tappa devozionale che gli viene annualmente riservata durante la processione, nessuno la riconoscerebbe come tale, perché nulla vi è di evidente, storico, valorizzato in quella che è oggi un’abitazione privata come tante altre e in nulla tutelata. Meno che meno musealizzata.

Non una pagina dei tanti codici vergati elegantemente dal nostro maestro calligrafo è custodito nella nostra città. Non una traccia dei suoi melodiosi Inni. E se sbaglio, sarò felice di apprenderlo.

Insomma, nulla di fisico vi è che possa regalare un’esperienza forte legata al nostro patrono, che pure tanta parte riveste, potenzialmente, nella nostra complessa e articolata struttura identitaria collettiva.

Paradossalmente, tracce fisiche, patrimoni materiali riconducibili a lui sono presenti più in alcuni dei territori che, da San Demetrio in avanti, dalla Calabria al Lazio, hanno segnato le tappe del suo itinerario di vita e spiritualità, fino all’abbazia di Grottaferrata, alla cui fondazione il nostro diede l’avvio, prima di spegnersi a questo mondo, quasi novantenne, nel 1004. Un itinerario, questo della via niliana, che merita veramente di essere valorizzato e divenire foriero di progetti importanti, come da tempo si sta cercando di fare. Speriamo che questa sia la volta giusta!

Ma allora in che modo poter sentire più nostro, più vicino San Nilo? Di quale patrimonio immateriale possiamo fare tesoro? Come sentirci figli di un padre, o maestro, vissuto tanto tempo fa, ma che ha contemplato il nostro stesso mare, percorso le nostre stesse strade e cercato l’odore, rigenerante e forte, dei nostri stessi boschi, per lui e per altri detti sacri?

Certamente non ci sono risposte univoche, né soluzioni che possano trovare unanime consenso.

La storia, le storie vanno innanzitutto conosciute, divulgate, devono entrare nella sensibilità comune. E questo è bene che avvenga molto di più, attraverso ogni canale e linguaggio possibile. Ma recepire qualcosa in forme passive e per devozione o obbligo, non basta a promuovere un sentimento forte.

Vale per San Nilo quanto -oggi farò arrabbiare tanti!- credo valga anche per altre nostre fortissime icone identitarie.

Rossano è Città del Codex, ma la presenza di questo straordinario evangelario la si sente solo nella eccellente esposizione che vive dentro le mura del Museo che, con valore e merito, lo custodisce.

Rossano è città della liquirizia, indubbiamente, ma l’odore di questo oro nero, la sua lucentezza, la sua presenza non permea le vie della città, ma vive, nobilitata al meglio, solo dentro lo spazio produttivo e museale della famiglia che da secoli è egregiamente ambasciatrice del nostro territorio nel mondo.

E forse, in misura minore, ma anche importante, Rossano è anche riconosciuta come terra della Dolce di Rossano; ma questa fluida dolcezza legata alle nostre secolari colline e alla loro tipica cultivar non condisce a sufficienza angoli e mense del nostro invidiabile rus sanum.

Allora, forse, occorre fare uno sforzo collettivo. Probabilmente pensando che i nostri patrimoni, tanti, anche oltre quelli accennati, vanno individuati, curati, condivisi e reinterpretati per quello che possono dire e dare ai nostri giorni e alle nostre generazioni. Per quello che possono contribuire alla crescita della nostra comunità e di ognuno di noi.

Il mio San Nilo è quello che ha messo la cultura e il pensiero critico al centro del suo approccio alla vita e accanto al suo modo di interpretare la fede; l’uomo che questa ha vissuto in modo autentico e aperto al dialogo con chi declinava in modi differenti dal suo quello stesso bisogno di Assoluto.

Il mio San Nilo è quello che ha compreso l’importanza della scrittura, del tratto grafico curato, chiaro, e dell’inchiostro indelebile per scoprire e preservare il valore, i valori, del pensiero e salvarlo dall’oblio del tempo. E tutto questo non lo ha tenuto per sé, ma ha scelto di insegnarlo ai suoi discepoli, in una pedagogia che poneva al centro disciplina e lavoro; ma anche la gioia della condivisione, l’armonia del canto e la forza della bellezza, cercata, trovata nell’essenziale.

Il mio San Nilo è quello che ha scelto di alternare solitudine e vita comunitaria, riflessione ascetica e immersione nel mondo della politica, anche di quella internazionale; che ha usato la parola, colta, curata, cercata, per rivolgersi a Dio, come per guidare i suoi uomini e per cercare, con diplomazia e intelligenza, di gestire l’umano. A volte con successo. A volte meno. Ma anche questo può farmelo sentire vicino.

Il mio San Nilo è quello che ha conciliato bios theoretikos e bios praktikos; l’uomo, il santo, che ha cercato tra le pietre, nelle pietre di lasciare il segno di un cammino che non è stato solo metaforico, ma che ha sentito il bisogno di farsi azione concreta; e per questo si è messo in viaggio e ha attraversato un tratto di mondo, ha coinvolto comunità, fondato realtà e avviato esperienze che, ancora oggi, a distanza di dieci secoli, conservano il tratto della unicità.  

Il mio San Nilo è un leader visionario, autorevole, stimato, che sa dove condurre la sua gente. E non si piega ai compromessi, non si appaga negli allori di un’ambizione incentrata sul sé. È l’uomo che, anche a novant’anni, non si ferma, ma semina ancora, senza stancarsi di guardare al domani, ben consapevole che non lui raccoglierà quelle messi.

Buon San Nilo a noi.

Alessandra Mazzei
Autore: Alessandra Mazzei

Diploma classico, laurea in Lettere classiche a La Sapienza, Master in Pedagogia, insegue una non facile conciliazione tra bios theoretikos e practikos, dimensione riflessiva e solitaria, e progettualità concreta e socialmente condivisa. Docente di Italiano e Latino, già Assessore alla Cultura e Turismo di Rossano, impegnata in diverse associazioni socio-culturali, ma, prima e più di ogni altra cosa, mamma, felice, di Chiara Stella, Gabriele e Sara Genise. Ha grande fiducia nelle capacità dei giovani, degli studenti, di quelli che poi restano e di quelli che vanno pensando un giorno di tornare. Spera di poter contribuire, insieme a loro e ad amici ottimisti, alla valorizzazione di questa terra di cui sente da sempre la forza delle radici, accanto al bisogno di paesaggi culturali ampi e aperti. Ama la scrittura, che vive, al pari dell’insegnamento, come itinerario di ricerca e crescita personale, da coltivare in forme individuali e collettive.