di MARTINA FORCINITI Tornare alla terra per tornare ad amare un territorio. E per salvarlo. Sta tutta qui la buona volontà di un giovane chef che la sua Sibaritide e il suo Pollino se li tiene ben allacciati ai polsi. E a settembre li porterà all’Expo 2015 nei due padiglioni che ospiteranno “Italy is Eataly” di Oscar Farinetti. L’occasione giusta per valorizzare e promozionare quella materia prima tutta calabrese che rende unici i suoi piatti. Perché Gennaro di Pace, dopo una lunga formazione nel nord Italia e in Svizzera, è corso a gambe levate in quel piccolo paesino, ai piedi del Pollino, di nome Saracena. Senza voltarsi indietro. E con la voglia di urlare a pieni polmoni che il successo si può fare anche a casa propria.
«Essere l’unico chef a rappresentare la Sibaritide e il Pollino è un ruolo importante e di grande responsabilità. Che mi fa sentire ancora più parte di questo vasto territorio. Farò di tutto per suscitare una buona impressione a nome della mia terra e di quelle risorse che la rendono davvero speciale». A Saracena di Pace ha rilevato un locale, l’Osteria Porta del Vaglio, in cui per pochi ma buoni commensali (35/40) si cucina mettendoci il cuore, una bella spruzzata di Calabria e anche una buona dose di emozione. «I nostri sono piatti elaborati, ma gli ingredienti sono esclusivamente a chilometro zero, acquistati da aziende del territorio con cui lavoro a stretto contatto. Non compro un prodotto se non lo conosco. Ad ogni mio cliente voglio regalare il piacere di assaporare la tradizione mista all’innovazione. Per questo il momento del pasto diventa quasi una dimensione spirituale spazio-temporale parallela, e non un’abbuffata fatta di attese e di portate. I clienti durante i pasti possono ammirare anche le installazioni d’arte (Claudia Zicari)». La Calabria, quindi, è il set perfetto per riscoprire le ricette della tradizione e per guarnirle con un qualcosa in più. E aver scelto Saracena, certo, non è un caso. Qui si produce quel particolarissimo Moscato passito di tradizione millenaria che sa scaldare il cuore. Ma c’è anche la Sibaritide a farla da padrone, con le clementine della Piana, il riso di Sibari, la mozzarella di bufala di Corigliano, la liquirizia Amarelli di Rossano. «In Calabria abbiamo tutto. Quel che manca è la sinergia territoriale. In fin dei conti, l’anima del problema è la mancanza di comunicazione fra paesi». Ad ogni modo, anche in Calabria si può fare ristorazione di qualità. Senza esagerare, con prodotti così buoni sull’arte della cucina ci si potrebbe puntare tutto. «Con l’enogastronomia a guadagnarci non è solo il ristoratore.
Chi spende per un piatto del territorio, investe del denaro che inevitabilmente ritorna su quello stesso territorio. E poi ad essere uno chef non sempre si trae profitto. Ma quando si crede in quel che si fa, vale la pena di dare priorità alla propria passione». Purtroppo, però, sono ancora pochi quelli che sanno ragionare in quest’ottica. «Il nostro rimane un territorio difficile perché non si è ancora diffusa la cultura dello spendere per mangiare. Ci vorrebbe un po’ di educazione alimentare, a partire dalle scuole. Basterebbe assimilare il concetto per cui se nessuno comprasse più prodotti con l’olio di palma, si comincerebbe a produrre solo con l’olio d’oliva». È proprio questa la calabresità che ci piace. Quella ostinata, volenterosa e che, per essere leale con sé stessa, si innova ma senza rinunciare alla tradizione. Quella che dalle nostre tavole finirà dritta filata fra i padiglioni dell’Expo.