Il lungo viaggio per rientrare a casa dopo due mesi in Polonia. «Aeroporti vuoti e tanti controlli. Ma a Lamezia abbiamo avuto l’impatto con la nuova realtà. Ora i 14 giorni di quarantena non saranno un problema»
Tornare a casa dopo un soggiorno all’estero. Una passeggiata in tempi normali. Una piccola impresa al tempo del coronavirus, tra code, attese e autocertificazioni. È l’esperienza vissuta da Roberto, un catanzarese rientrato ieri in Italia con la moglie e due figli piccoli, dopo essere partito per la Polonia quando ancora il lockdown era un concetto lontano. Il primo problema è stato trovare un mezzo di trasporto, visto il blocco dei voli e la chiusura delle frontiere. «Ma poi – racconta adesso l’uomo, una volta rientrato in Italia – c’è stato da districarsi tra le disposizioni di Dpcm, ordinanze regionali e comunali». Il tanto agognato viaggio di rientro parte alle 13.15 del primo maggio dall’aeroporto Chopin di Varsavia, grazie ad un volo speciale Alitalia organizzato dalla Farnesina tramite l’ambasciata d’Italia a Varsavia per il rientro dei connazionali all’estero. Non prima, il giorno precedente, di fare la registrazione al sito della Regione Calabria, segnalando il proprio rientro e la data di inizio della quarantena. L’impatto con lo scalo della capitale polacca è spettrale e già fa capire che il viaggio tutto sarà tranne che una passeggiata. «All’ingresso – racconta – abbiamo trovato due soldati che, con molta gentilezza e superando le barriere linguistiche, ci hanno chiesto i documenti e i motivi del viaggio. All’interno non c’era nessuno, se non le addette al check-in Alitalia, le uniche presenti. Prima di arrivarci gli addetti sanitari polacchi ci hanno misurato la temperatura e fatto compilare l’autocertificazione da consegnare al vettore per spiegare i motivi del rientro. Otto copie in tutto, due per ogni componente la famiglia. E non ho potuto fare a meno di notare l’assurdità dell’autocertificazione di due bambini di pochi anni». Riempiti i moduli, i controlli di sicurezza e finalmente l’imbarco. A bordo, «tutti con le mascherine, e distanziati il giusto. Prima del decollo – dice Roberto – l’hostess ha consegnato l’autocertificazione per motivare lo spostamento una volta arrivati a destinazione». Giunti a Fiumicino, agli imbarchi dei voli nazionali, dice Roberto, qualche persona in più ma niente rispetto al solito. «Tutti i viaggiatori con la mascherina indosso e attenti a rispettare il distanziamento. Ma è stato all’aeroporto di Lamezia Terme – racconta – che l’impatto con la nuova realtà è stato più evidente. All’ingresso gli operatori della protezione civile ci hanno invitato a stare in coda. Un’attesa apparsa interminabile. Al nostro turno, uno alla volta, ci siamo fermati davanti al termoscanner per la misurazione della temperatura. Poi è stata la volta della presentazione dell’autocertificazione in uno dei quattro gabbiotti allestiti. La documentazione consegnata in aereo, però, non era quella giusta e quindi abbiamo dovuto compilare altre quattro autocertificazioni. Devo dire che da parte della dottoressa di turno, della protezione civile e delle forze dell’ordine, c’è stata massima disponibilità e collaborazione, sia per il controllo dei documenti che per la spiegazione delle procedure successive. La stanchezza e la tensione di rientrare a casa hanno dilatato l’attesa ben oltre la durata reale, circa 40 minuti». Uscito dallo scalo, per Roberto, è iniziato, con la propria auto, l’ultimo tratto del viaggio verso casa. Dopo code, autocertificazioni e tensione, «i 14 giorni di quarantena, non saranno un problema» dice ora Roberto.