Il modello spagnolo sempre più vicino a risolvere il problema della nostra sanità territoriale
Secondo la bozza della riforma, i medici di famiglia faranno parte del Ssn per rendere attive e funzionanti le Case di Comunità messe in piedi coi fondi Pnrr
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CORIGLIANO-ROSSANO – La medicina territoriale potrebbe essere ad un punto di svolta. La notizia, lanciata in anteprima sul Corriere della Sera, riguarda il rapporto dei medici di famiglia con il Servizio sanitario nazionale.
Qualche mese fa, proprio dalle pagine dell'Eco dello Jonio, ci eravamo chiesti quale soluzione avrebbe potuto arginare la carenze di personale sanitario, le difficoltà di accesso ai servizi primari, in PS congestionati e, soprattutto, migliorare l’accesso ai servizi offerti dai medici di base, spesso irreperibili. Nel farlo avevamo guardato al sistema sanitario spagnolo e alle sue Zonas Básicas de Salud che dotano ogni area cittadina di un Centro di Assistenza Primaria. Questa tipologia di centri, assimilabili alle AFT italiane (Aggregazioni Funzionali Territoriali) ma molto più presenti, strutturati e capillari, ci erano sembra un punto di partenza da poter sfruttare (e quindi potenziare e riorganizzare) così da renderli un vero e proprio punto di riferimento per i pazienti.
Ricordavamo che nella penuria di medici che si registra in questa particolare fase storica si potrebbe pensare di creare studi medici riuniti (come già ne esistono), eliminando i massimali e garantendo un adeguato stipendio ai medici di base, e dotandoli - questa la vera rivoluzione - di personale di supporto (infermieri e amministrativi), di strumentazione per la diagnostica di base (elettrocardiografi, ecografi, sale di primo intervento, etc.) e di quell'essenziale rete di telemedicina collegata alle Unità Operative ospedaliere. E tutto questo per superare quella fase critica dell'imbuto dei Pronto Soccorso dove arrivano, perlopiù, codici bianchi. Nondimeno, potrebbe consentire di ottimizzare i servizi garantiti dai medici di base grazie ad un sistema efficiente di turnazione, eliminando i servizi di guardia medica notturna - troppo spesso inefficaci - e alleggerendo i PS, a cui spesso la popolazione si rivolge anche per sintomi "non ospedalieri".
E qualcosa, in tal senso, sembra cambiare. La bozza di riforma prevede tre novità. La prima: L’attività di assistenza primaria di medicina e pediatria al fine del miglioramento dei servizi richiede l’instaurarsi di un rapporto d’impiego. La seconda: Il rapporto tra il Servizio sanitario nazionale, i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta che non siano dipendenti del Ssn è a esaurimento. «Vuol dire che – riportano sul CdS - i nuovi medici di famiglia saranno assunti, mentre quelli già in servizio potranno continuare a essere liberi professionisti, a meno che siano loro stessi a decidere di passare alle dipendenze del Servizio sanitario». La terza: La loro attività è da garantire sia presso gli studi sia presso le Case della Comunità, Qui i cittadini troveranno medici di famiglia e/o specialisti dalle 8 del mattino alle 8 di sera, in grado di fare anche elettrocardiogrammi, ecografie, spirometrie, ecc.
Se la modifica della legge andrà in porto – spiegano sulle pagine del Corriere della Sera - i medici di base diventeranno dipendenti del Servizio sanitario nazionale come lo sono gli ospedalieri. Il tutto per far funzionare le 1.350 Case della Comunità messe su con i 2 miliardi del Pnrr secondo un modello «più promettente che metta insieme diversi professionisti che lavorino in team multiprofessionali e che siano proattivamente impegnati nella medicina preventiva» (leggi qui per sapere quali strutture della Calabria del nord-est sono state finanziate dal Pnrr) .
Ma come saranno ripartite le ore dei medici tra assistiti e Case di Comunità? «L’impegno di 38 ore dei medici di medicina generale è ripartito secondo il seguente schema: 1) fino a 400 assistiti: 38 ore da rendere nel distretto o sue articolazioni, delle quali 6 ore da dedicare agli assistiti e le restanti per le esigenze della programmazione territoriale; 2) da 401 a 1.000 assistiti: 12 ore da dedicare agli assistiti e le restanti per le esigenze della programmazione territoriale; 3) da 1001 a 1.200 assistiti: 18 ore da dedicare agli assistiti e le restanti per le esigenze della programmazione territoriale; 4) da 1.201 a 1.500 assistiti: 21 ore da dedicare agli assistiti e le restanti per le esigenze della programmazione territoriale; 5) oltre a 1.500 assistiti: 24 ore da dedicare agli assistiti e le restanti per le esigenze della programmazione territoriale».
Una riforma che – se dovesse essere confermata – garantirebbe il funzionamento di presidi sanitari fantasma presenti nelle aree interne. Nelle zone periferiche e ultra periferiche di un territorio come la sibaritide-pollino, la rimodulazione e il potenziamento dei servizi sanitari, con copertura massima degli interventi diagnostici anche attraverso la telemedicina, potrebbero davvero fare la differenza.