I Giapponesi e quell'investimento nella Sibaritide: hanno fatto loro quello che non è riuscito a fare la Calabria
In un capannone Kagome/Vegitalia ha installato un impianto di trasformazione che spedisce nel Sol Levante 6mila tonnellate di ortaggi l'anno. Intanto qui i produttori sono decenni che aspettiamo una piastra de freddo. Serve una Vertenza Sibaritide

CORIGLIANO-ROSSANO - All’alba, nello stabilimento di San Marco Argentano, i nastri scorrono veloci. Zucchine, peperoni e melanzane arrivano dai campi, passano sulla griglia, finiscono in tunnel di surgelazione e poi in buste pronte a partire. È la catena di Kagome/Vegitalia, la multinazionale giapponese che da qui, dal nostro territorio, dall'alta Piana della Sibaritide, spedisce circa 6.000 tonnellate l’anno verso il Sol Levante, con picchi di 270 addetti e 18 milioni di euro di fatturato. Il Sole 24 Ore questa storia di produttività, coraggio e lungimiranza imprenditoriale l’ha raccontata proprio ieri sulle sue colonne. Una storia che dice una cosa semplice e dirimente: la Sibaritide ha già un prodotto che il mondo compra e che, paradossalmente, rappresenta solo una parte marginale della sua produttività d'eccellenza. Quello che manca, però, affinché tutto si metta a regime, è accorciare il tempo tra il campo e il mercato, tenendo la temperatura giusta dal primo all’ultimo metro.
Chiamarla “piastra del freddo” è riduttivo se la si immagina come un semplice magazzino. Parliamo di celle a 0–2 °C e 2–8 °C, di controlli doganali e fitosanitari sul posto, di tracciabilità certificata lungo ogni passaggio. È il livello degli standard internazionali del CEIV Fresh già adottati a Malpensa e Fiumicino. Portarlo qui significa tagliare ore alla catena campo–stabilimento–mezzo, ridurre gli scarti e far salire il valore che resta sul territorio. La prova, in piccolo, è già nel caso Kagome: anche con i noli marittimi aumentati e i container costretti a circumnavigare l’Africa, la merce di qualità trova mercato. Con una piastra consortile, della Sibaritide, quella qualità diventerebbe politica industriale e non solo un'eccellenza aziendale.
L’aeroporto di Sibari come gamba rapida
Uno scalo di prossimità a Sibari non nasce per sfidare Lamezia, Bari o Brindisi. Serve ad avvicinare l’aereo a chi oggi vola da lontano. Oggi, entro sessanta minuti dal nodo di Sibari vivono 450–600 mila persone tra Sibaritide, Pollino, Valle del Crati e costa lucana fino a Policoro; entro novanta minuti il bacino sale attorno al milione includendo porzioni del Tirreno cosentino e del nord crotonese. La Statale 106 Jonica sta cambiando pelle (il Megalotto 3 tra Sibari e Roseto Capo Spulico vale 38 chilometri e ha superato circa il 70% di avanzamento), mentre l’innesto con l’A2 taglia i tempi “porta–aeroporto”. È questo, più della distanza in linea d’aria, - lo ricordiamo - a far scegliere davvero un terminal (se vuoi approfondire l'argomento leggi qui).
Il porto che non compete: Corigliano-Rossano
Poi c'è il Porto di Corigliano-Rossano. Aereo e nave non si pestano i piedi: servono bisogni diversi. L’aereo copre l’urgenza e l’alta resa: filetti, grigliati, quarta e quinta gamma. Un feeder notturno di media taglia verso gli hub (Milano-Malpensa, Bergamo, Roma-Fiumicino) potrebbe valere da solo oltre 2.000 tonnellate l’anno. Nel 2024 il cargo aereo italiano ha toccato il record di circa 1,25 milioni di tonnellate: il mercato c’è e cresce. Il porto di Corigliano-Rossano, invece, è la gamba di volume: container reefer (refrigerati) per grigliati e surgelati, linee regolari e tempi certi. Oggi muove zero rispetto al suo potenziale; con una piastra del freddo a monte avrebbe domanda stabile da servire e tornerebbe utile al distretto, senza sovrapporsi al transhipment.
Fare insieme, non in sequenza
La ricetta è meno complicata di quanto sembri: piastra del freddo distrettuale, aeroporto di Sibari con Roma garantita e Milano a orari utili, feeder cargo notturno, e porto con servizi reefer e slots prevedibili. Insieme, non una cosa dopo l’altra. Prima si mette in sicurezza il prodotto (standard, controlli, temperatura), prima si attivano i vettori che trasformano eccellenze agricole – clementine, limoni, pesche, fichi e ortofrutta – in export affidabile.
Ma perché questo accada serve, ovviamente, una regia. Da anni si auspica che Regione Calabria, Governo, Comuni e istituzioni in genere, insieme alle associazioni d’impresa e ai sindacati aprano la Grande Vertenza della Sibaritide. Non una vertenza difensiva, ma offensiva che punti dritta a sviluppo e occupazione. Obiettivo: un piano infrastrutturale integrato che, contestualmente, realizzi la piastra del freddo, avvii i lavori per aeroporto della Sibaritide come scalo di prossimità e rilanci il porto di Corigliano-Rossano con servizi reefer e linee programmate, questo insieme ad una serie di altri interventi che vanno dal potenziamento di strade (anche secondarie e di connessione tra hub produttivi) e ferrovie.
È il modo più rapido per trasformare la geografia in economia reale: meno ore tra campo e mercato, più valore che resta qui, più lavoro qualificato per i giovani della Piana. La storia che parte ogni mattina da San Marco Argentano ci dice che si può. Adesso tocca alla politica – e a tutto il sistema territoriale – decidere il finale.