Il modello spagnolo per rivoluzionare la medicina territoriale calabrese
Dalle Zonas Básicas de Salud ai Centri di Assistenza Primaria ecco come potrebbe essere trasformato il sistema sanitario italiano, migliorando l'accessibilità e l'efficienza dei servizi per la comunità
CORIGLIANO-ROSSANO – Tra carenze di personale, difficoltà di accesso ai servizi primari, PS congestionati e medici di base alle volte irreperibili e molto spesso oberati di lavoro ci siamo chiesti quale potrebbe essere uno dei modelli a cui ispirarci per poter ripensare alla medicina territoriale finita, di recente, al centro della polemica e sul banco degli imputati per essere co-responsabile della congestione degli ospedali. Nel farlo abbiamo deciso di guardare al modello spagnolo il cui sistema si articola come la somma dei diversi servizi sanitari presenti in ognuna delle Comunità Autonome che costituiscono la Spagna. Infatti, il sistema sanitario spagnolo, al pari di quello italiano, si caratterizza per la presenza di un “servizio sanitario nazionale” che può essere considerato come l’insieme dei servizi sanitari autonomi su base regionale. L’assistenza sanitaria in Spagna – molto simile a quella offerta in Italia - è strutturata su due livelli: le cure primarie e le cure specialistiche. Queste ultime, in particolare, sono svolte attraverso i servizi ospedalieri.
Al primo livello afferiscono i principali siti di assistenza primaria, i Centri di assistenza primaria (Centre d’atenció primària – CAP), che presentano un’elevata accessibilità e sono assegnati ad ogni Zonas Básicas de Salud in cui la città è suddivisa.
Essi sono distanti al massimo 15 minuti da qualsiasi residenza, sono operativi 24 ore su 24 e presentano un pronto soccorso ambulatoriale integrato. Ai cittadini che vi si rivolgono non è richiesto il pagamento di alcun ticket, fatta eccezione per i farmaci, il cui importo equivale al 40% del prezzo originario. Nei CAP lavorano équipe multidisciplinari costituite da medici di medicina generale, pediatri, personale infermieristico e amministrativo, ma è prevista anche la presenza di assistenti sociali, ostetriche e fisioterapisti.
L’assistenza primaria è la sede privilegiata anche delle attività di prevenzione e promozione della salute, assistenza e salute della donna, assistenza al paziente terminale e salute del cavo orale. Questo aspetto peculiare della prevenzione è il risultato di una lunga storia di investimenti sull’assistenza primaria che risale al 1988, anno in cui venne lanciato il Programa de Actividades Preventivas y de Promociòn de la Salud (PAPPS), uno dei primi tentativi sistematici in Europa di integrare nell’assistenza primaria le attività di promozione e prevenzione, con tanto di valutazione periodica dei risultati.
Al secondo livello, invece, vi è l’assistenza specialistica con i centri di specializzazione (i poliambulatori presenti nei Centri di Salute) e gli ospedali. Degli 804 ospedali presenti sul territorio, circa il 42% è di proprietà del Sistema Nacional de Salud: 315 strutture, cui se ne aggiungono 4 di proprietà del Ministero della Difesa e 20 controllate dalle Mutuas de Accidentes de Trabajo y Enfermedades Profesionales. La quota restante, un assai consistente 58%, è di proprietà privata (465) e conta circa 53.000 posti letto.
«L’organizzazione generale del sistema sanitario – spiega la professoressa Amalia Diurni dell’Università di Tor Vergata in un’analisi comparativa tra i sistemi sanitari spagnolo e italiano - prevede che ogni comunità sia divisa in distretti individuati secondo fattori principalmente geografici e demografici: le Areas de Salud (AS). Queste sono le unità di base del sistema, con uno schema istituzionale simile a quello delle ASL italiane. Ogni AS è poi suddivisa nelle Zonas Básicas de Salud, che si occupano dell’assistenza primaria; mentre per l’assistenza specialistica ognuna di esse dispone almeno di un ospedale, definito dall’art. 56, co. 2 b), LGS come struttura responsabile dell’assistenza specialistica e dei problemi di salute di maggiore complessità. Peculiare nel panorama europeo anche il sistema di remunerazione: tutti i membri del team multidisciplinare sono dipendenti dello Stato e ricevono un salario fisso a cui si aggiunge una quota capitaria variabile (pari a circa il 15% del totale), che tiene conto della natura della popolazione, della sua densità e della percentuale di popolazione di età superiore ai 65 anni».
Al netto di questa ricostruzione, sicuramente parziale, dunque, il sistema sanitario spagnolo risulta molto simile a quello italiano eccezion fatta per quella importante e forse replicabile Zonas Básicas de Salud che dota ogni area cittadina di un CAP. Questa tipologia di centro, assimilabile alle AFT italiane (Aggregazioni Funzionali Territoriali) ma molto più presente, strutturata e capillare, potrebbe essere potenziata e riorganizzata in maniera tale da diventare un vero e proprio punto di riferimento per i pazienti.
Nella penuria di medici che si registra in questa particolare fase storica si potrebbe pensare di creare studi medici riuniti (come già ne esistono), eliminando i massimali e garantendo un adeguato stipendio ai medici di base, e dotandoli - questa la vera rivoluzione - di personale di supporto (infermieri e amministrativi), di strumentazione per la diagnostica di base (elettrocardiografi, ecografi, sale di primo intervento, etc.) e di quell'essenziale rete di telemedicina collegata alle Unità Operative ospedaliere. E tutto questo per superare quella fase critica dell'imbuto dei Pronto Soccorso dove arrivano, perlopiù, codici bianchi. Nondimeno potrebbe consentire di ottimizzare i servizi garantiti dai medici di base grazie ad un sistema efficiente di turnazione, eliminando i servizi di guardia medica notturna - troppo spesso inefficaci - e alleggerendo i PS, a cui spesso la popolazione si rivolge anche per sintomi "non ospedalieri".