Farmaci "di marca" non più mutuabili: continua ad erodersi il diritto alla salute dei calabresi
La denuncia di una madre: «Mia figlia, paziente psichiatrica, non può assumere equivalenti per prescrizione medica, ma i farmaci originali non sono più mutuabili. Siamo costretti a sostenere da soli una spesa onerosa e continua»

CORIGLIANO-ROSSANO – Non accennano a diminuire i disagi per i pazienti, costretti a fronteggiare un sistema sanitario inefficiente che non sempre riesce a garantire cure adeguate e continuità terapeutica, aggravando il carico economico e psicologico di molte famiglie.
Quello che vi raccontiamo oggi è lo sfogo (e la denuncia) di una madre che si è recata in farmacia per acquistare un farmaco per la propria figlia, paziente psichiatrica in cura da anni. Qui ha scoperto un'amara novità che rischia di trasformarsi in condanna: i farmaci “di marca” che la ragazza assume regolarmente non sono più mutuabili. Al loro posto, il servizio sanitario regionale ha reso disponibili soltanto gli equivalenti (i cosiddetti generici).
Un passaggio questo che, per la maggior parte delle persone, potrebbe non comportare particolari problemi. Ma non nel caso di questa giovane paziente. Secondo la prescrizione del medico curante – riportata nel piano terapeutico DPC (Distribuzione per Conto) – l’assunzione di equivalenti non le è consentita. Si tratta, infatti, di un quadro clinico delicato in cui la stabilità terapeutica dipende anche dalla formulazione e dalla biodisponibilità del farmaco somministrato.
Il risultato è che la famiglia è ora costretta a dover acquistare i farmaci "di marca" affrontando spese onerose e a proprio carico, senza la possibilità di ricorrere all’equivalente: «Mia figlia – ha dichiarato la madre – deve assumere questi farmaci la cui confezione costa 101 euro l'una. Poi, oggi, l’amara scoperta di doverli anche pagare perché non più mutuabili. Una situazione incredibile per noi, considerato che mia figlia non può assumere l’equivalente, come prescritto dal medico».
Questo episodio mette in luce le storture del sistema e il calvario che i pazienti sono chiamati ad affrontare. E a pagare il prezzo più alto sono - come sempre - le persone più fragili. La logica del risparmio (o del guadagno!) non può sacrificare il diritto alla cura, soprattutto in ambito psichiatrico, dove la continuità terapeutica rappresenta un elemento fondamentale di stabilità.
La denuncia di questa madre è un campanello d’allarme. Occorre allora interrogarsi seriamente su come garantire, in concreto, il diritto alla salute sancito dalla Costituzione. La sostenibilità del sistema sanitario non può passare attraverso scelte che rischiano di discriminare proprio chi ha più bisogno di tutele.