Oltre l’accoglienza: l’inclusione passa dai banchi di scuola
In occasione della Giornata Mondiale del rifugiato, una riflessione sulla scuola che diventa sempre di più un luogo di integrazione dei migranti e sull’italiano come lingua dell’inclusione
CORIGLIANO-ROSSANO - «Amate dunque il forestiero, perché anche voi foste stranieri in terra d’Egitto» (Deuteronomio). La scuola, tra i molteplici compiti che ha l’onore e la responsabilità di assolvere, è chiamata oggi più che mai a rispondere in modo consapevole, tempestivo ed efficace alle profonde trasformazioni della contemporaneità. Tra queste, una delle più rilevanti è rappresentata dai cambiamenti culturali e sociali che hanno interessato il nostro Paese negli ultimi decenni, in particolare a seguito dell’aumento dei flussi migratori.
Questo fenomeno ha portato tra i banchi di scuola un numero sempre più significativo di alunni provenienti da contesti linguistici, culturali e sociali differenti. Una realtà che interpella il sistema educativo nel suo insieme, ponendolo di fronte a nuove sfide: non basta più accogliere, è necessario includere davvero. L’obiettivo non è soltanto l’inserimento formale, ma una reale integrazione nel tessuto scolastico, sociale ed economico, affinché la diversità possa trasformarsi in un autentico volano di sviluppo, tanto individuale quanto collettivo.
In questo scenario, l’insegnamento della lingua italiana assume un ruolo centrale e decisivo. La padronanza dell’italiano non è solo uno strumento comunicativo, ma una condizione essenziale per partecipare pienamente alla vita scolastica e alla comunità di appartenenza. Attraverso la lingua, gli studenti stranieri possono costruire relazioni, comprendere il contesto in cui vivono, esercitare i propri diritti e doveri, sentirsi parte di una storia comune.
Negli ultimi anni l’Italia ha iniziato a rispondere a questa esigenza anche attraverso l’istituzionalizzazione di percorsi specifici e classi di concorso dedicate all’insegnamento dell’italiano come lingua seconda (L2). Si tratta di un cammino ancora complesso e non privo di difficoltà: molti studenti provengono da realtà profondamente diverse dal nostro modo di vivere, pensare e comunicare. Questo divario culturale rappresenta uno spaccato che ci ricorda, con forza, quanto sia determinante nascere “nel posto giusto e nel momento giusto della storia”.
È proprio da questo interscambio, però, che deve nascere un autentico processo di integrazione. Un percorso capace di far comprendere che le differenze non sono un ostacolo, ma una risorsa preziosa per lo sviluppo della persona umana, della sensibilità e del “saper stare al mondo”. Una sfida che diventa ancora più urgente se letta alla luce dei dati sempre più allarmanti sulla crisi demografica del nostro Paese: mentre il numero degli iscritti diminuisce anno dopo anno, la percentuale di alunni stranieri continua a crescere, rappresentando non solo una realtà strutturale, ma anche una possibilità concreta di sopravvivenza e rilancio della scuola, soprattutto nei piccoli centri colpiti da un inverno demografico sempre più evidente.
Insegnare l’italiano, dunque, non significa limitarsi alla trasmissione di un codice linguistico. Non è soltanto questione di coniugare verbi o conoscere regole grammaticali. È, prima di tutto, dare accesso alla sopravvivenza sociale, culturale e relazionale. La lingua è la chiave che apre le porte della conoscenza dell’altro, della relazione, della cittadinanza attiva. Attraverso di essa, gli studenti – e in particolare quelli di origine straniera – possono non solo apprendere i contenuti disciplinari, ma sentirsi riconosciuti, accolti e protagonisti all’interno di una comunità scolastica inclusiva.
Perché tutto questo diventi realtà, è necessario che la scuola avvii un profondo ripensamento delle pratiche didattiche, delle metodologie educative e dei modelli comunicativi. Serve una prospettiva rinnovata, capace di coniugare competenze linguistiche, pedagogiche e interculturali, valorizzando le differenze invece di temerle. Solo così la diversità potrà essere riconosciuta per ciò che realmente è: non un problema da gestire, ma un’opportunità di crescita per l’intera collettività.