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Burnout, la grande rassegnazione, stress e addio al tempo indeterminato: quanti ragazzi stanno dicendo basta

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CORIGLIANO-ROSSANO – Per i giovani della Sibaritide non è scattato solo l’allarme del caro affitti e del costo della vita nel Nord (leggi l’articolo qui).  Fragilità e instabilità sono ormai problematiche reali di chi, negli ultimi venti anni, si sta affacciando nel mondo del lavoro.

«Vivo a Roma, mi sveglio ogni mattina alle 6, prendo la metro alle 8 e torno la sera alle 20. Ogni giorno così, è la mia giornata tipo, dal lunedì al venerdì. Un inferno». Giorgio è di Corigliano-Rossano e ci parla a cuore aperto di cosa significa lavorare oggi: aziende multinazionali che sono sempre più delle gabbie dorate che ti allenano alla competizione in ogni livello.

«Nell’ufficio abbiamo anche un angolo relax, con tanto di Play Station, tavolo da ping-pong e comodi divani dove intrattenerci durante le pause. Inizialmente pensavo fosse un modo per rendere più confortevole il nostro posto di lavoro, più tardi ho capito che è un approccio più dolce per farci vivere solo in relazione a quello che produciamo». Infine, l’amara constatazione: «Tutte queste multinazionali che si arricchiscono con il tempo della nostra vita fino a che punto si vorranno arricchire?».

Per chi non lo sapesse nella società occidentale sta prendendo sempre più piede il fenomeno del Burnout, ossia una sindrome legata allo stress lavorativo, che porta il soggetto all’esaurimento delle proprie risorse sia psicologiche che fisiche. Molti over 30, dopo che hanno superato i primi anni di spensieratezza lavorative, ne soffrono. Tale sindrome è riconosciuta anche come “fenomeno occupazionale” dall’OMS ma ancora non ha il titolo di una vera e propria condizione medica.

Ma non solo, si sta facendo avanti un nuovo fenomeno, la Great Resignation, ossia lasciare il tempo indeterminato e le grandi città per trovare un impiego meno stressante e con ritmi di vita più accettabili. «Lavoro dieci ore al giorno e in constante competizione con i miei colleghi». A sostenerlo è Francesca, di stanza a Milano per una multinazionale di consulenza strategica.

«Ormai lavoriamo per aumentare la nostra posizione, per avere più libertà e meno responsabilità e non soffrire il bullismo dei superiori. Tutto questo mi sta stancando, mi sto guardando intorno alla ricerca di qualcos’altro, magari nel pubblico».

Uno studio dello scorso anno ha rivelato come il 40% dei lavoratori è intenzionato a cambiare lavoro. Negli ultimi mesi del 2022, come riporta l’Inps, le dimissioni sono cresciute di oltre un terzo. Inoltre, come riporta Randstad, a trainare l’esodo sono i lavoratori più giovani. La percentuale di lavoratori che sta cercando un nuovo impiego, infatti, sale al 38% se si considera solo la fascia d’età compresa tra i 25 e 34 anni.

«Il fenomeno della Great Resignation è ancora più evidente tra i lavoratori che appartengono alla cosiddetta generazione Z, ossia quella costituita dai nati tra la seconda metà degli anni 90’ e la fine degli anni 2000.  Il 36% dei dipendenti ha già lasciato il lavoro, a causa dell’incompatibilità con la propria vita privata. E se si considera solo la fascia tra i 18 e i 34 anni, la percentuale sale al 51%. Il 38% dei lavoratori italiani, poi, ha dichiarato che sarebbe disposto a lasciare il proprio lavoro se questo gli impedisse di godersi la vita. Ancora una volta, la percentuale si alza tra le generazioni più giovani, superando il 50% tra i lavoratori di età compresa tra i 18 e i 25 anni. Un altro dato estremamente indicativo del cambio di prospettiva e priorità è la percentuale di dipendenti (23%) che preferirebbero essere disoccupati piuttosto che infelici sul lavoro. La percentuale sale al 34% nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni. Anche l’indagine condotta nell'ambito della ricerca HR Trends & Salary Survey 2022 conferma l’aumento del fenomeno in Italia negli ultimi 12-18 mesi (nel 44% delle aziende) e il coinvolgimento in larghissima misura i lavoratori della generazione millennials (76% del totale). Tra le cause del fenomeno insoddisfazione (47%), demotivazione (34%) e mancanza di condivisione degli obiettivi (30%)».

 

 

Josef Platarota
Autore: Josef Platarota

Nasce nel 1988 a Cariati. Metà calovetese e metà rossanese, consegue la laurea in Storia e Scienze Storiche all’Università della Calabria. Entra nel mondo del giornalismo nel 2010 seguendo la Rossanese e ha un sogno: scrivere della sua promozione in Serie C. Malgrado tutto, ci crede ancora. Ha scritto per Calabria Ora, Il Garantista, Cronache delle Calabrie, Inter-News, Il Gazzettino della Calabria e Il Meridione si è occupato anche di Cronaca e Attualità. Insegna Lettere negli istituti della provincia di Cosenza. Le sue passioni sono la lettura, la storia, la filosofia, il calcio, gli animali e l’Inter. Ha tre idoli: Sankara, Riquelme e Michael Jordan.