10 ore fa:Megaincendio a Tarsia: in fiamme un capannone di rifiuti
56 minuti fa:Carlino ammalia i ragazzi del Tecnico Economico e dello Scientifico con il suo saggio sull’antico Ducato di Crosia
15 ore fa:Telecardiologia e prevenzione, centinaia di esami gratuiti: così Amendolara tutela la salute dei cittadini
18 ore fa:Sanità e sicurezza stradale, doppia mobilitazione: oggi proteste a Cassano Jonio e Castrovillari
14 ore fa:“La musica guarisce”: suoni, parole e testimonianze alla Cittadella dei Ragazzi
19 ore fa:Caloveto, successo di pubblico per il presepe vivente: il borgo si anima nel giorno di Natale
16 ore fa:Cresce l'attesa a Co-Ro per l'ottava edizione della "Tombola in Rossanese"
17 ore fa:Performer Cup, i talenti di Maros e CsDanza pronti per la gara con la Regione Calabria
18 ore fa:Natale in Strada a Rossano: tutto pronto per la II Edizione
17 ore fa:CoRo, convocato il Consiglio Comunale: seduta lunedì 29 dicembre alle ore 17

Il lento e inesorabile spopolamento della Sibaritide: le previsioni Istat sono terrificanti

2 minuti di lettura

CORIGLIANO - ROSSANO - Siamo i più grandi esportatori di manodopera e cervelli. A dire il vero anche di capitali. Tendiamo ad investire fuori, in altre regioni se non addirittura oltre confine. E se Roma è la città più grande della Calabria - all’ufficio anagrafe della Capitale sono iscritti oltre 400 mila calabresi -, anche Milano non scherza. Portiamo il meglio che abbiamo altrove mentre questa terra, anno dopo anno, si inaridisce. Si spopola. Si ritrae.

Dalle ultime rilevazioni Istat la Calabria, rispetto al periodo preso in esame precedentemente, ha perso un ulteriore 10% della popolazione. Si, è vero: c’è chi resta. Ma sulla fascia Jonica c’è soprattutto chi se ne va. E mentre il Governo centrale e le Istituzioni locali si confrontano, troppo spesso sulle poltroncine degli studi televisivi e sempre meno in Parlamento, su quale sia la ricetta migliore, l’ingrediente azzeccato per arginare l’emorragia di spostamenti dal Sud al Centro-Nord, la Sibaritide perde i suoi figli. E con i figli perde la sua forza, il suo futuro.

Schiacciati tra l’incudine e il martello. Tra le promesse (ammalianti) che il vento del Pnrr porta con sé, il riferimento è al 40% della somma destinata al Mezzogiorno da investire - tra le altre cose -  in infrastrutture, istruzione e digitalizzazione, e lo spettro della proposta di legge sull’autonomia differenziata delle Regioni. Quest’ultima vista come il fumo agli occhi e foriera di un divario ancora più accentuato che a questo punto non si limiterebbe semplicemente a dividere il Paese, ma lo spezzerebbe letteralmente a metà, dando vita a due Italie inconciliabili che come due rette parallele non si incontrano mai.

Perché se ufficialmente il via libera al Ddl per le autonomie regionali è, parola del premier Meloni «un percorso per superare i divari che oggi esistono tra i territori e garantire a tutti i cittadini, e in ogni parte d'Italia, gli stessi diritti e lo stesso livello di servizi», il pericolo che tutta questa indipendenza dal governo centrale generi figli e figliastri è tangibile. Il nodo cruciale è quello dei livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi che devono essere garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale.

Intanto resta il dato sul tasso migratorio e l’amaro in bocca. Nel Nord-Ovest e nel Nord-Est il tasso è positivo e intorno a un valore pari a 3: significa che arrivano più persone di quante ne vanno via. Nel Centro il tasso è pari a -1, mentre nel Mezzogiorno è a -15. La Calabria segna il record negativo di -20.

D’altronde, secondo i dati Istat più aggiornati, nel 2021 in Italia il Pil pro capite era pari a 28,4 mila euro: nel Centro-Nord era pari a 33,4 mila euro, mentre nel Sud a 18,5 mila euro. Anche qui, la nostra terra spiazza: al livello locale si scende a 16,2 mila euro.

E pensare che non è sempre stato così. Occorre tornare indietro al boom degli anni ’50, in cui il Sud faceva registrare tassi di crescita superiori a quelli del Nord. Per il Meridione il miracolo economico si è protratto fino ai primissimi anni ’70. Poi il declino che tutti purtroppo conosciamo.

Valentina Beli
Autore: Valentina Beli

“Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare” diceva con ironia Luigi Barzini. E in effetti aveva ragione. Per chi fa questo mestiere il giornalismo non è un lavoro: è un’esigenza, una passione. Giornalista professionista dal 2011, ho avuto l’opportunità di scrivere per diversi quotidiani e di misurarmi con uno strumento affascinante come la radio. Ora si è presentata l’occasione di raccontare le cronache e le storie di un territorio che da qualche anno mi ha accolta facendomi sentire come a casa. Ed io sono entusiasta di poterlo fare