9 ore fa:VOLLEY - Serie C Femminile: la Volley Cirò batte la Pallavolo Rossano Asd
3 ore fa:Cariati: il 4 novembre giornata dell’unità nazionale e delle forze armate
4 ore fa:A Vaccarizzo nasce il club motor arberia vintage
6 ore fa:Caloveto: l’Amministrazione investe sull’inclusione sociale dello sport
7 ore fa:Ecco a chi finiscono i soldi del 5x1000, tutti i numeri della Calabria del nord-est
10 ore fa:Apre a Crosia una Casa Funeraria per offrire uno spazio riservato e accogliente alle famiglie
9 ore fa:L'associazione Alma Odv porta sorrisi e speranza agli anziani della residenza di Cariati
2 ore fa:BH, Caputo (Azione): «L'irregolarità del procedimento è una scusa di Stasi»
8 ore fa:Anfass Calabria tra le associazioni promotrici degli Stati Generali della Disabilità
5 ore fa:Pubblicata la gara per la ristrutturazione e l'efficientamento energetico del Municipio di Cassano 

Il lento e inesorabile spopolamento della Sibaritide: le previsioni Istat sono terrificanti

2 minuti di lettura

CORIGLIANO - ROSSANO - Siamo i più grandi esportatori di manodopera e cervelli. A dire il vero anche di capitali. Tendiamo ad investire fuori, in altre regioni se non addirittura oltre confine. E se Roma è la città più grande della Calabria - all’ufficio anagrafe della Capitale sono iscritti oltre 400 mila calabresi -, anche Milano non scherza. Portiamo il meglio che abbiamo altrove mentre questa terra, anno dopo anno, si inaridisce. Si spopola. Si ritrae.

Dalle ultime rilevazioni Istat la Calabria, rispetto al periodo preso in esame precedentemente, ha perso un ulteriore 10% della popolazione. Si, è vero: c’è chi resta. Ma sulla fascia Jonica c’è soprattutto chi se ne va. E mentre il Governo centrale e le Istituzioni locali si confrontano, troppo spesso sulle poltroncine degli studi televisivi e sempre meno in Parlamento, su quale sia la ricetta migliore, l’ingrediente azzeccato per arginare l’emorragia di spostamenti dal Sud al Centro-Nord, la Sibaritide perde i suoi figli. E con i figli perde la sua forza, il suo futuro.

Schiacciati tra l’incudine e il martello. Tra le promesse (ammalianti) che il vento del Pnrr porta con sé, il riferimento è al 40% della somma destinata al Mezzogiorno da investire - tra le altre cose -  in infrastrutture, istruzione e digitalizzazione, e lo spettro della proposta di legge sull’autonomia differenziata delle Regioni. Quest’ultima vista come il fumo agli occhi e foriera di un divario ancora più accentuato che a questo punto non si limiterebbe semplicemente a dividere il Paese, ma lo spezzerebbe letteralmente a metà, dando vita a due Italie inconciliabili che come due rette parallele non si incontrano mai.

Perché se ufficialmente il via libera al Ddl per le autonomie regionali è, parola del premier Meloni «un percorso per superare i divari che oggi esistono tra i territori e garantire a tutti i cittadini, e in ogni parte d'Italia, gli stessi diritti e lo stesso livello di servizi», il pericolo che tutta questa indipendenza dal governo centrale generi figli e figliastri è tangibile. Il nodo cruciale è quello dei livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi che devono essere garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale.

Intanto resta il dato sul tasso migratorio e l’amaro in bocca. Nel Nord-Ovest e nel Nord-Est il tasso è positivo e intorno a un valore pari a 3: significa che arrivano più persone di quante ne vanno via. Nel Centro il tasso è pari a -1, mentre nel Mezzogiorno è a -15. La Calabria segna il record negativo di -20.

D’altronde, secondo i dati Istat più aggiornati, nel 2021 in Italia il Pil pro capite era pari a 28,4 mila euro: nel Centro-Nord era pari a 33,4 mila euro, mentre nel Sud a 18,5 mila euro. Anche qui, la nostra terra spiazza: al livello locale si scende a 16,2 mila euro.

E pensare che non è sempre stato così. Occorre tornare indietro al boom degli anni ’50, in cui il Sud faceva registrare tassi di crescita superiori a quelli del Nord. Per il Meridione il miracolo economico si è protratto fino ai primissimi anni ’70. Poi il declino che tutti purtroppo conosciamo.

Valentina Beli
Autore: Valentina Beli

“Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare” diceva con ironia Luigi Barzini. E in effetti aveva ragione. Per chi fa questo mestiere il giornalismo non è un lavoro: è un’esigenza, una passione. Giornalista professionista dal 2011, ho avuto l’opportunità di scrivere per diversi quotidiani e di misurarmi con uno strumento affascinante come la radio. Ora si è presentata l’occasione di raccontare le cronache e le storie di un territorio che da qualche anno mi ha accolta facendomi sentire come a casa. Ed io sono entusiasta di poterlo fare