Violenza sulle donne, piaga della Sibaritide. E i carnefici sono spesso persone “onorate” dalla società
Il dramma dei maltrattamenti nel nostro humus si consumano nei diversi strati sociali. La violenza si annida nelle famiglie “perbene”. Il lavoro incessante di Forze dell’ordine e associazioni fa emergere un fenomeno che non può essere ghettizzato

CORIGLIANO-ROSSANO – Oggi si celebra la giornata contro la violenza sulle donne. Una ricorrenza che alle latitudini della Sibaritide e di Corigliano-Rossano assume una forma ancora più concreta e reale. E questo non solo perché in questo territorio si sono consumate violenze efferate come quella che ha portato alla morte la giovanissima Fabiana Luzzi; ma perché, proprio qui, nella Calabria del nord-est la violenza di genere continua a rimanere un atto di sopraffazione inaudita quasi all’ordine del giorno.
Sono costanti e quasi quotidiani gli interventi che le Forze dell’Ordine e le associazioni di sostegno alle vittime fanno per evitare che atti brutali a danno di donne e indifesi, perlopiù, si consumino o – peggio ancora – si ripetano in modo irrimediabile. E questo avviene quando la vittima trova il coraggio e la forza di denunciare o semplicemente di chiedere aiuto. La punta di un iceberg. Ci sono, poi, tante altre situazioni sommerse, silenti, sconosciute, che vivono nell’ombra e dove nessuno riesce ad arrivare, a sapere e, quindi, a intervenire.
Donne prese a botte di continuo dai loro compagni, seviziate o costrette a prostituirsi; ragazze bullizzate o riprese in atti sessuali da loro coetanei o da adulti depravati e le immagini scaraventate sul diabolico mondo del web; e, ancora, anziani e bambini maltrattati nel silenzio delle case. Un mondo sommerso, dicevamo, sul quale la magistratura e le forze dell’ordine operano ormai da tempo e che trova nel nostro territorio un suo epicentro. E i carnefici, molto spesso, sono persone che fanno parte della società bene: gente apparentemente corretta e rispettosa, professionisti, figli di buona famiglia, “onorate” dalla società che nascondono un background di depravazione, prevaricazione e violenza.
La percezione comune porta spesso ad allontanare questi mostri dal mondo attorno a noi, quello che viviamo quotidianamente. Perché nessuno può immaginare che tali atti di violenza e prevaricazioni possano celarsi nelle nostre prossimità, negli ambienti “salubri” che frequentiamo giornalmente. Siamo più inclini a pensare che azioni di vero e proprio degrado sociale possano consumarsi in ambienti familiari disagiati, nelle comunità di immigrati, nelle favelas dei nostri territori, insomma nei “ghetti” della nostra società dai quali ci teniamo a debita distanza proprio per evitare “contaminazioni”. Idiozie!
I dati raccolti da chi quotidianamente opera sul campo dicono tutt’altro. Proprio nei giorni scorsi ne abbiamo parlato con Sonia Leonino, presidente della casa-rifugio “Mondiversi” di Corigliano-Rossano che evidenziava proprio come la violenza di genere sia attanagliata da pregiudizi e luoghi comuni che interessano sia le vittime che i carnefici. Secondo le stime il fenomeno è trasversale e interessa donne di qualunque età, estrazione sociale e provenienza. Non è solo una “patologia” di una società povera, isolata o culturalmente arretrata. «È necessario che si vada oltre le storture mediatiche» denunciava la presidente Leonino. «Il pregiudizio – ha sottolineato - secondo cui siano gli stranieri a infliggere maggiori violenze o che le vittime provengano maggiormente da contesti svantaggiati è assolutamente infondato e falso. Noi seguiamo 22 donne (attualmente) e 13 sono italiane, alcune addirittura compagne o figlie di professionisti. Non dimentichiamoci che i maltrattamenti avvengono in prevalenza nell’ambito familiare. Insomma, nulla a che vedere con la provenienza o con l’estrazione sociale».
Ecco perché è importante creare consapevolezza, sensibilizzare la società e soprattutto le nuove generazioni, tutti i giorni e non solo nelle giornate canoniche della memoria e del ricordo. L’atto della denuncia dovrebbe essere una costante all’infinito. Perché solo così si infonde fiducia e coraggio nelle vittime. Solo così si contribuisce a crescere persone e cittadini sani e immunizzati da una malattia sociale silenziosa e spesso fatale.