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Un tumore raro al cervello, la lotta di una madre rossanese contro il destino beffardo di suo figlio. Non c'è più tempo

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CORIGLIANO - ROSSANO -  «L’ho preso in braccio, non reagiva. L’ho chiamato, non mi riconosceva. Lo sguardo fisso nel vuoto». La corsa al San Raffaele in ambulanza, Jamie ha un rarissimo tumore al cervello. Viene operato e poi dimesso. È l’inizio di un cammino difficile quello di Maria Sapia, nostra conterranea che vive a Milano da molti anni. Lei, la figlia adolescente avuta dall’unione precedente e i due fratellini nati dalla relazione con il compagno con cui vive attualmente. A settembre Jamie mostra un lieve strabismo. I genitori allora lo portano a fare delle visite ma i medici li rassicurano: il piccolo non ha alcun problema alla vista.

E così è. Il bambino gradualmente perde le forze, ha sempre sonno. Vuole dormire. Poi quel maledetto pomeriggio in cui Maria torna a casa dal lavoro e trova Jamie riverso a pancia in sotto sul divano e pieno di vomito. Lo solleva, lo stringe a sé. Lo chiama. Jamie non dà segnali, non riconosce più la mamma. Quindi la diagnosi che nessun genitore vorrebbe ascoltare, l’operazione e la chemioterapia. «Jamie ogni tre settimane deve fare cinque giorni di chemio, dopo i quali è prevista regolare dimissione per trascorrere il periodo tra un ciclo e l’altro a casa. La prima chemio l’ha fatta intorno al 10 di novembre. Ad oggi, è ancora al Centro nazionale dei tumori».

La malattia è molto aggressiva, i valori del sangue sono sballati e Jamie è troppo debilitato per fare ritorno a casa. Giorno e notte in ospedale c’è il papà, mentre Maria cerca di garantire agli altri fratelli a casa una vita normale. Lei, make up artist che aveva trovato in Milano la città in cui poter fare della propria passione un lavoro, da quasi due mesi ha mollato tutto per traghettare la famiglia in questo momento così difficile. Il compagno, giorno e notte accanto a Jamie, rischia di perdere il lavoro. “Ci stiamo facendo consigliare dai sindacati, ora il mio compagno si è messo in malattia. Ma non so per quanto tempo sia ancora possibile mancare al lavoro e conservare il posto. Ho perso la rotta”.

Maria è un fiume in piena fatto di emozioni, preoccupazioni e incertezze. «Una mia amica ha aperto una raccolta fondi. Io mi sono detta: a cosa serve? Le cure nel nostro Paese sono gratuite. Eppure tra spostamenti e vicissitudini giornaliere sto tirando fuori soldi che non so neppure io da dove prendo».

La forza di una madre.

Jamie ha due anni e mezzo e una forma di tumore più che rara. «Se guardiamo al passato siamo costretti a dirle che Jamie non ce la farà – ci racconta Maria parlando dei suoi colloqui con i medici -. Ma stiamo mettendo in atto terapie sperimentali, innovative. Ci stiamo provando».

Gli specialisti hanno assicurato alla donna che su Jamie non faranno accanimento terapeutico, ma che comunque tenteranno il tutto per tutto. Maria è come in una lavatrice. Ha dovuto lasciare il lavoro e teme che il compagno perda il suo. Non osa neppure immaginare un finale diverso che non sia la guarigione del figlio, ma allo stesso tempo è troppo lucida e con i piedi per terra da non capire a fondo la gravità della situazione. E poi c’è la figlia, un’adolescente che sta vivendo il dramma del fratellino più piccolo e che ancora deve superare il dolore per la perdita del padre, venuto a mancare a febbraio di quest’anno. Maria, confessa con un filo di voce, vorrebbe solo non pensare.

Se con una bacchetta magica potessimo riavvolgere il nastro, tornare a quel pomeriggio in cui Maria, tornando a casa, anziché trovare Jamie incosciente riverso sul divano lo avesse sorpreso a fare qualche marachella, sarebbe meraviglioso. Invece, nel nostro piccolo, l’unica cosa che possiamo fare è sostenerla. Ciascuno a modo suo, ciascuno come può. Per questo postiamo qui il link della raccolta fondi per i quali Maria si preoccuperà di specificarne l’utilizzoì: CLICCA QUI

 

 

Valentina Beli
Autore: Valentina Beli

“Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare” diceva con ironia Luigi Barzini. E in effetti aveva ragione. Per chi fa questo mestiere il giornalismo non è un lavoro: è un’esigenza, una passione. Giornalista professionista dal 2011, ho avuto l’opportunità di scrivere per diversi quotidiani e di misurarmi con uno strumento affascinante come la radio. Ora si è presentata l’occasione di raccontare le cronache e le storie di un territorio che da qualche anno mi ha accolta facendomi sentire come a casa. Ed io sono entusiasta di poterlo fare