Corigliano-Rossano continua ad essere “vocata” a un turismo che non c’è
Non c’è marketing e la programmazione è costruita su misura alle esigenze dei vacanzieri stagionali. Eppure potremmo avere una narrazione turistica di qualità senza compromettere alcun processo di sviluppo
CORIGLIANO-ROSSANO – Corigliano-Rossano continua ad essere “vocata” ad un turismo che non c’è. Siamo al 20 maggio, tutte le località costiere con una storia da proporre e con un patrimonio da mettere sul mercato per le ferie estive, hanno già chiuso – da tempo – la loro programmazione degli eventi (e non solo degli eventi). Hanno tutti una visione su come, dove, quando, cosa fare. Potremmo parlare di Roccella Jonica o per non andare troppo lontani della più vicina Altomonte o della stessa Castrovillari, che come noto non ha una tradizione sul turismo estivo ma che, per non rimanere tagliata fuori dal “circuito”, è entrata in alcune ed importanti reti del turismo sportivo. Si assestano programmi, si consolidano eventi, si parte e, programmando in tempo, si risparmia pure.
Basta farsi una passeggiata fuoriporta la domenica, spingersi verso Tropea, Soverato, Ostuni o sulla Costiera Amalfitana e vedere il pullulare di turisti che già dal ponte del 24 aprile affollano queste località. Non da noi, non a Corigliano-Rossano dove ci facciamo vanto del “boom di presenze” ad eventi storicizzati da sempre, dove, però, continuano a partecipare solo (o nella stragrande maggioranza) persone della stessa città e dei territori limitrofi.
Le presenze turistiche, quelle che determinano davvero la qualità della promozione di un evento, invece, continuano a rimanere un miraggio.
Del resto, se si arriva al 20 maggio per presentare la kermesse del “Maggio Europeo” cosa ci possiamo aspettare per la prossima stagione estiva? Che inizi, come da sempre avviene, il 15 luglio con il ritorno dei concittadini immigrati che vengono a svernare nel paese d’origine, e finisca il 15 di agosto con i saluti ai giovani universitari che rientrano nella loro sede di studio. Stop. Punto. Finita l’estate con i suoi concertini chiusi in economia, le coreografie luminose buone solo a dare un po’ di colore alle desolate vie dei centri storici ed un arrivederci all’anno prossimo.
E le “grandi masse”, quelle spostate dai tour operator, dove stanno? Se non fosse per la presenza dei villaggi turistici organizzati che operano sul nostro territorio e che seguono un marketing a se stante (e per fortuna!) qui ci sarebbe il deserto di presenze che partecipano, spendono, fanno girare economia e promozione del territorio.
“Si prospetta una stagione difficile… C’è stato il Covid, la gente ha paura… C’è la guerra, la gente ha paura… c’è la crisi…” già lo sentiamo il coro delle “pezze”, delle note da libretto delle giustificazioni. Sono tutte cazzate. Perché altrimenti non si spiega come mai i booking delle più importanti località turistiche italiane, da nord a sud, sono quasi oversize per la prossima stagione estiva.
E non è che manchino presenze. Anzi. Ci sono zone di mare che d’estate, comunque sia la stagione, fanno registrare il tutto esaurito. Ma è quel turismo vacanziero stagionale che non produce né ricchezza al territorio tantomeno mette in circolo quel marketing virtuoso che fa di una bella spiaggia o un caratteristico centro storico una meta ambita. Per intenderci, sono persone che vanno al mare portandosi l’ombrellone senza usufruire degli stabilimenti balneari; che non fanno uso massiccio dei servizi di ristorazione; che non entrano nei musei; che non girano per i centri storici; che non utilizzano la catena commerciale. Alimentano soltanto l’economia passiva, quella dei servizi (che anche qui ci sarebbe da dire quando di ritorno dal mare non possono nemmeno farsi una doccia perché manca l’acqua!) e dei beni di prima necessità. Punto.
Ancora più grave è che la programmazione estiva, i cartelloni degli eventi, mirano a soddisfare solo le esigenze di questa tipologia di turismo.
A conti fatti, alimentando questo circuito non si avrà mai una progressione. Soprattutto quando soldi in circolazione ce ne stanno pochi e quei pochi la gente vuole spenderli per andare in un posto caro alla narrazione del turismo di massa.
Un esempio su tutti. La riserva naturale di Cavagrande del Cassibile, in provincia di Siracusa. Un luogo bellissimo. Ma nulla a che vedere – senza voler essere di parte – con l’alta valle del Colognati (ne abbiamo parlato qui). Due luoghi simili per proposta naturalistica, per suggestione, relax, avventura ed emozioni.
C’è però una cosa che fa una madornale differenza tra le due proposte: il marketing.
La riserva del Cassibile è un patrimonio naturale sfruttato all’ennesima potenza. Se ne parla in ogni rivista di settore. Viene proposta come escursione imperdibile per chi va in Sicilia. “Un luogo incantato”, una “esperienza indimenticabile”, “un posto da favola” nelle recensioni dei forum del web. Da aprile a ottobre nelle sue cascate e nei suoi specchi d’acqua arrivano frotte di turisti, di trekker, di escursionisti con scarponcini e costume da bagno per godersi quella meraviglia della natura nel cuore della Sicilia sud-orientale. Ci sono guide, punti ristoro, cartellonistica plurilingue, ci sono strade per raggiungerla in comodità, c’è la possibilità di noleggiare attrezzatura trekking… c’è di tutto per godersi a pieno quell’attività. E ogni cosa ha un prezzo che il visitatore paga volentieri pur di raccontare di essere stato in quella riserva naturale.
Nella valle del Colognati piuttosto che in quella del Coriglianeto, altro immenso patrimonio inespresso di Corigliano-Rossano, non solo non esiste una organizzazione di promozione organica ma buona parte dei cittadini nemmeno sa di cosa stiamo parlando.
Eppure, alle latitudini normanno-bizantine della Calabria del nord-est, da 40 anni, in nome di questa fantomatica vocazione turistica, sono stati compromessi e si stanno compromettendo ancora oggi processi di sviluppo produttivo, industriale ed economico importanti e strategici. Proprio come se il turismo non fosse compatibile con l’industria o con l’avvento di nuove infrastrutture. Una stupidaggine colossale in bocca ai nostri politici, di ieri e di oggi, di ogni estrazione e di ogni colore.